giovedì 23 luglio 2009

Breve storia della melanzana...

...ovvero alcune parole sull'uso del "chador", il velo islamico persiano.

Come ho detto su Don Chisciotte in risposta a qualcuno, usando un elegante francesismo, il velo islamico non è una moda né una simpatica tradizione esotica del cazzo. E' un fatto ideologico, cioè politico, ed ha una funzione che - pur essendo banale - proveremo ad analizzare.

Ma, per farlo, dobbiamo prima raccogliere alcuni elementi storici e teologici, senza la pretesa di essere esaurienti e premettendo che parleremo solo della realtà iraniana per evitare di parlare di cose che non conosco così bene.

Forse il periodo peggiore è stato quello della dinastia Qajar (al quale l'immagine in alto a sinistra si riferisce). Perché corrisponde all'inizio della graduale urbanizzazione del paese e, contrariamente a quel che si può credere, nelle città le donne si vestivano in modo meno libero che nei villaggi. Confrontate la foto di sopra con le due qui sotto:


La foto a destra è contemporanea a alla prima immagine in alto a sinistra, e ritrae un gruppo di donne kurde. Quella a sinistra è di oggi e ritrae alcune donne vestite in abiti tradizionali del Gilan, il paradiso nel quale ho passato la mia infanzia. In entrambi i casi noterete che l'abbigliamento ha rispetto per la bellezza femminile pur essendo modesto, mentre nella prima immagine vedete solo delle melanzane. Qual è la ragione di questa differenza nello stesso contesto nazionale? Perché il vestito tradizionale nei villaggi non estirpava la bellezza femminile, mentre quello delle città le rendeva ombre, fantasmi neri?

La ragione - una delle ragioni - è che le contadine lavoravano nei campi, collaboravano cioè al reddito famigliare. Nel Gilan si incontrano spesso delle contadine nella risaia, con la gonna tirata su come Silvana Mangano in "Riso Amaro". E nessuno dice nulla, è del tutto normale.

L'obbligo giuridico dell'abbigliamento femminile islamico, in Iran, apparve con la Rivoluzione del 1979 ed è una cosa che si deve direttamente a Khomeini. L'ayatollah Taleghani, che ai tempi aveva forse anche più seguito di Khomeini, lo considerava opzionale. Poi Taleghani morì molto presto, così passò la linea di Khomeini. No, decisamente non è una tradizione millenaria, né una moda. E' un fatto politico.

L'origine:

Andiamo all'origine del problema: Corano, Sura della Luce, versetto 31:

و قل للمؤمنات یغضضن من ابصارهن و یحفظن فروجهن و لایبدین زینتهن الا ما ظهر منها و لیضربن بخمرهن علی جیوبهن

La cui traduzione letterale è: "e dì alle credenti di abbassare i loro sguardi e di custodire le loro vergogne e che non mostrino le loro bellezze tranne quelle palesi, e di coprire col velo i loro seni". Ora non so voi, ma a me pare che tra questo e la trasformazione della donna in una melanzana sia intervenuta una certa eterogenesi dei fini...

Il buon senso e la moderazione direbbero che con "abbassare lo sguardo" si intenda semplicemente "non civettare". Eppure ancora di recente c'è stata una fatwa in Arabia Saudita che ritiene superfluo che le donne guardino fuori dal velo con due occhi, uno basta e avanza. Anche in altre parti del mondo - lungo la storia dell'Islam - nell'interpretare quel "abbassare lo sguardo", il sostantivo غض è stato interpretato nel significato letterale di "cecità". Ma bontà loro non hanno cavato gli occhi alle donne, le hanno solo coperto completamente il volto.

Anche sul concetto delle grazie da coprire dagli sguardi si potrebbe discutere a lungo, visto che il Corano ordina "tranne quelle palesi". Mani, ma fino a dove? Piedi, fino a dove? Il volto. Compreso il collo? Che bisogna coprire le tette è abbastanza chiaro, ma i capelli? Vedete, io sono convinto che Dio abbia avuto fiducia nel buon senso degli uomini e nella loro capacità di capire lo spirito di quel versetto. Il problema è che Dio è eccessivamente ottimista.

Non sarebbe importante quali sono le bellezze palesi: esse possono cambiare con l'evolversi del gusto, dei costumi, della morale. Il punto è che non bisogna guardare a ciò che è palese sbavando, perché uno che sbava fa un po' schifo a tutti. Come non bisogna esagerare a palesare. Il resto è buon senso.

Ma i musulmani per generazioni hanno insistito: quanti centimetri di mano si possono far vedere? il gomito? non vi pare estremamente sexy il gomito? Insistevano. Con l'insistenza tipica di chi ha capito benissimo lo spirito della legge, ma continua a cercare cavilli per violarla. E così gli imam, che conoscevano la loro gente, per ogni norma hanno sempre fornito l'interpretazione più restrittiva, più letterale: è consentito al marito di segregare in casa una moglie infedele? Allora vuol dire che la si può anche murare viva... C'è del diabolico in questa tendenza a violare la legge applicandola alla lettera.

La funzione:

Dato che le donne non nascono melanzane, e dato che certo il chador non serve a coprirsi dal freddo, è ovvio che nel velo c'è un significato che trascende la semplice funzione di vestiario. La risposta di un difensore del velo è che si vorrebbe salvaguardare l'integrità morale degli uomini: essi finirebbero per essere provocati dalla bellezza femminile e dunque sarebbe giusto che tale bellezza sia celata.

Il ragionamento è stupido e disonesto. Se in Arabia Saudita c'è una fatwa che vorrebbe coprire anche uno dei due occhi che sbucano dal sacco, significa che qualcuno si sente provocato persino dalla vista dei soli occhi! Persino in assenza delle donne, molti uomini si sentono provocati dai ragazzini, come succede in ogni caserma, in ogni carcere, in ogni convento del mondo.

Qualcosa provocherà sempre l'appetito maschile: è il maschio che dovrebbe resistere. Questa è la prova di fronte alla quale lo ha posto quel Dio in cui dice di credere, e non è opprimendo e soffocando la normale vita di un altro essere umano che supererà la sua dannatissima prova.

Ma andiamo più a fondo della questione.

Da una parte del mondo abbiamo uomini che non amano essere provocati sessualmente e perciò trasformano le donne in melanzane. Da un'altra parte del mondo abbiamo uomini che desiderano essere provocati. In questa parte del mondo, la società impone un modello di bellezza femminile che può rendere la vita un inferno a moltissime e, pur senza una legge specifica, l'imposizione viene rispettata grazie al conformismo.

In entrambi i casi c'è un fatto imprescindibile: è l'uomo che impone il suo desiderio alla donna, anche se con mezzi opposti. Ed è qui che, in entrambi i casi, si può parlare di sfruttamento, diseguaglianza, discriminazione. La differenza è che la donna iraniana ha la speranza di liberarsi da una condizione imposta ex-lege. La donna occidentale è teoricamente libera, ma nella pratica la sua libertà è soffocata dal conformismo di massa alla quale lei stessa collabora.

Riassumendo: la funzione di una "uniforme femminile", sia essa il chador o quindici cemtimetri di tacco, è quella di ricordare alla donna che è una donna: ricordarle che come tale il suo fisico esiste in funzione dei desideri e delle priorità dell'uomo. Laddove l'uomo non vuole essere provocato per paura di Dio, essa entra in un sacco. Dove l'uomo desidera essere provocato, fa vedere quel che deve far vedere, e nel modo in cui lo desidera l'uomo. Senza fiatare, anzi, spesso asserendo che tutto questo è normale, che è sempre stato così, che le piace. Collaborando. Così come gli schiavi collaboravano coi loro padroni.

5 commenti:

  1. Chi ha scritto questo articolo? E' stato tradotto o l'autore vive in Italia e conosce l'italiano?
    E' di una ovvietà imbarazzante... questo è quello che dovremmo insegnare ai nostri figli e far insegnare a scuola, altro che! Con tutto quello che leggo sempre sul tema non avevo mai trovato prima una spiegazione così limpida, semplice ed efficace... è un uomo l'autore? Non perché abbia importanza in relazione a ciò che dice, ma perché mi riscalda il cuore sentire che non occorrono le esperienze dirette delle donne per capire, e che ci sono anche uomini sufficientemente intelligenti da essere sensibili al tema, e da capirne l'importanza.

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  2. L'articolo è proprio mio.

    Sono un uomo, doppia cittadinanza naturalizzato italiano. Uso uno pseudonimo quando scrivo per ragioni in parte intuibili e in parte legate all'affetto verso questo pseudonimo: lo usava mio padre in Iran quando pubblicava poesie "sovversive" su riviste letterarie, ai tempi dello Shah.

    Per mia fortuna godo di un bilinguismo perfetto e quindi mi riesco a informare anche su fonti dirette. Grazie dell'apprezzamento e delle belle parole!

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  3. Mi stavo chiedendo la stessa cosa... che dire? Complimenti. Grazie per le preziose delucidazioni e, per quanto riguarda l'osservazione finale, corcordo pienamente.

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  4. Davvero illuminante, grazie.

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