martedì 28 settembre 2010

Un uomo chiamato cavillo


Quindi ora Gholamhossein Mohseni Ejei - procuratore capo della Repubblica Islamica - annuncia che Sakineh Ashtiani sarà impiccata per concorso in omicidio e non più lapidata per adulterio. Perché, dice, la pena per l'omicidio ha la priorità sulla pena per l'adulterio. Ciò sarebbe vero se la maggiore gravità dell'omicidio fosse un principio coerente col sistema giuridico iraniano, ma così non è.

1) Chi è Ejei:

Come detto è il capo della procura nazionale: l'istituzione che fa da supervisore alle singole procure locali con poteri di nomina, promozione e rimozione. Si presume cioé che il soggetto abbia qualifiche nel campo del diritto penale, oltre a capacità amministrative. Tuttavia fino a dicembre 2009 Ejei ricopriva la carica del capo del servizio segreto (ettelaat), per la quale sono richieste capacità investigative. Per capirci: è come ritrovarsi come capo della procura nazionale un ex capo del Sisde.

Nel dicembre 2009, dopo l'insurrezione dell'opposizione nella giornata di Ashura, la Repubblica Islamica ha militarizzato il servizio segreto riportandolo sotto diretto controllo dei Pasdaran (che diversamente dal servizio segreto non rispondono a un ministero, e quindi non rispondono al parlamento, e perciò non rispondono all'opinione pubblica). Ejei è stato "dimissionato" e si è ritrovato a capo della procura nazionale.

2) Perché parla:

Già. Come mai non è un giudice a comunicare al pubblico la rettifica di una sentenza penale ma è un procuratore?

In uno stato di diritto è un giudice a decidere qualunque revisione di processi e di sentenze, e quindi è un giudice a rendere pubblica la decisione, non l'accusa. Il fatto invece che la prossima variazione della sentenza sia comunicata al pubblico dal capo della procura nazionale deve di per sé far riflettere su quanto il sistema giuridico iraniano sia "rotten to the core", marcio fino al midollo.

3) Perché è in contraddizione:

Ejei ci racconta che la condanna per omicidio avrebbe la precedenza sulla condanna per adulterio. La cosa ci pare logica, ma non siamo stupidi, perché ci rendiamo conto che il procuratore contraddice la sua stessa giurisprudenza.

Se un sistema giuridico prevede come pena massima del reato di omicidio la semplice impiccagione, mentre prevede come pena massima per il reato di adulterio l'essere ammazzati a pietrate sulla testa (e quindi una morte con supplizio), ciò dimostra che in quella giurisprudenza il reato di adulterio viene considerato più grave del reato di omicidio. E allora su quali basi il procuratore ci vuol far credere che la pena per un reato meno grave ha la precedenza su quella per un reato più grave?

La ragione di questa contraddizione è che la giurisprudenza iraniana (e quindi Ejei) si trova in un vicolo cieco: la legge del paese considera più grave un reato che la banale logica umana invece ritiene essere meno grave. Se non ci credete provate a chiedervi se preferite essere assassinati o cornuti, e poi ne riparliamo.

4) Quale condanna per omicidio?

La donna è stata giudicata per l'accusa adulterio nella sezione 6 del tribunale di Tabriz e ivi condannata alla lapidazione, la sentenza diventa definitiva nel 2006. E' stata contemporaneamente giudicata per concorso in omicidio (non è l'esecutrice materiale) nella sezione 12 dello stesso tribunale. Viene emesso un verdetto nella primavera del 2007: per l'accusa di omicidio la sentenza comminata è di 10 anni di carcere, poiché il giudice ha tenuto conto del fatto che gli eredi della vittima non hanno chiesto la morte dell'assassina. Pertanto, in base all'articolo 612 del codice penale islamico dell'Iran, la pena non poteva essere la morte e infatti per quell'omicidio la donna viene condannata al carcere.

Ci spiega, Ejei, come è possibile che una sentenza a 10 anni di carcere diventi di colpo sentenza di impiccagione senza un riesame (chiesto da chi?), e come fa una sentenza di impiccagione essere considerata "più grave" di una sentenza di lapidazione? Ejei, la verità è che ci stai prendendo per il culo.

Ci stai prendendo per il culo perché sai benissimo che nessun essere umano, a prescindere dalla sua cultura, accetta l'idea che l'omicidio sia meno grave dell'adulterio. Quindi ti metti a mistificare facendo credere che sarà impiccata per omicidio.

Ma il casino è vostro, non di chi vi critica, anche se chi vi critica spesso lo fa solo per il petrolio. Il problema è vostro perché non avete il coraggio di cambiare un codice e una procedura penale che sono assurdi e inconcepibili anche in gran parte del mondo islamico.

Non ne avete il coraggio. Perché, come Macbeth, vi siete spinti tanto avanti ormai nel sangue che, se doveste fermarvi, il tornare indietro sarebbe penoso quanto l'avanzare.

E perdio farete la sua stessa fine.

giovedì 23 settembre 2010

"Sakineh Americana" un cazzo!

Ahmadinejad ha ragione quando dice che l'occidente si è mobilitato per Sakineh e non per la semi-malata di mente della Virginia condannata a morte. E certo in entrambi i paesi il sistema giudiziario, e in particolare la condanna a morte, è profondamente classista. E' raro trovare ricchi nel braccio della morte, sia in Iran che negli USA. Ma le somiglianze finiscono qui e finisce qui pure la ragione di Ahmadinejad, che ha torto su tutto il resto.

Non voglio soffermarmi troppo (ma bisognerebbe farlo) sul fatto che contro Mohammad Mostafai avvocato di Sakineh è stato emesso un mandato di cattura perché, incredibile per un avvocato, ha cercato di difendere la sua rappresentata. Mentre non mi risulta che l'avvocato americano sia latitante.

Il punto era e rimane quello del crimine ritenuto meritevole di morte nei due sistemi giuridici: negli USA la pena di morte è comminata solo per l'omicidio, in Iran per una serie di reati che in occidente al limite coinvolgerebbero la buoncostume.

Certo, la versione ufficiale è che Sakineh è stata condannata a morte per omicidio. Il problema è che nessuno può essere condannato a morte per omicidio, in Iran, se i legittimi eredi della vittima non chiedono esplicitamente la pena di morte. Giusto o sbagliato, questa è la legge in Iran.

Ora caso vuole che i legittimi eredi della vittima - il marito di Sakineh - siano i figli di lui e della donna. Questi NON hanno chiesto la pena di morte per la loro madre anzi hanno chiesto esplicitamente la grazia. In questi casi in genere la pena prevista è l'ergastolo. Il giudice però l'ha condannata a morte lo stesso per un secondo reato che prevede la pena capitale: l'adulterio.

Quindi riassumiamo: l'omicidio commesso da Sakineh per la legge iraniana doveva essere punito con l'ergastolo (*), perché gli eredi della vittima non hanno chiesto la pena capitale. Ma lei è stata condannata a morte per un secondo reato capitale: l'adulterio. La donna malata di mente americana è stata condannata a morte per omicidio.

E' questa la differenza, cretino di un Ahmadinejad!

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Rettifica parziale dopo essermi informato meglio: per il reato di concorso in omicidio la donna è stata condannata a dieci anni di carcere.

martedì 21 settembre 2010

Band of brothers - sullo Shatt'el Arab


Sono passati trent'anni  da quel 22 settembre. Per ragioni anagrafiche sarei dovuto essere lì in mezzo, ma i miei hanno potuto salvare la vita a loro figlio mandandolo all'estero. Una fortuna che non è toccata alla maggioranza dei miei coetanei. Queste righe servono a ricordare loro.

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Il battaglione "Hanzaleh" era composto da trecento soldati molto giovani. Durante i preparativi dell'offensiva nota come "operazione Valfajr-I" (16 aprile 1983) il battaglione rimane accerchiato dalle forze irachene in un canale. Uno dopo l'atro tutti i trecento cadranno stroncati dalla sete e dal nemico.

Durante le ultime ore dell'assedio il marconista del battaglione chiama il comando chiedendo di parlare col comandante Hemmat. Il comandante prende la linea. Dall'altro capo si sente una voce debole e gracchiante: "Ahmad è morto. Anche Hossein se n'è andato. E se ne sta andando anche la radio. Tra poco arrivano gli iracheni a finirci. Ho chiamato solo per salutare".

Il comandante non reggeva al dolore di vedere i battaglioni di ragazzi inesperti finire in quel modo. Le lacrime gli bagnavano il volto. Riuscì solo a dire: "non chiudere la radio ragazzo, parlami. Dì quello che vuoi, ma non chiudere".

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Il comandante Bakeri aveva un modo tutto suo per caricare i volontari. Diceva:

"Vedete, noi possiamo morire qui, oppure possiamo sopravvivere e veder finire la guerra. Quando la guerra sarà finita, qualcuno si darà alla bella vita accumulando ricchezze e onori. Qualcun altro soffrirà vedendo traditi gli ideali per i quali ha lottato e versato sangue. Tutto sommato ci conviene morire qui...".

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Una parola imbrogliona

Quali sono le libertà che vanno difese? Il discorso in realtà è antico e mi costringe ad una replica motivata.

"Libertà è una parola imbrogliona" diceva qualcuno. Uno potrebbe anche sostenere che un industriale è "libero" chiudere gli stabilimenti nel suo paese e di esportare capitali all’estero per minimizzare pressione fiscale e costo del lavoro. Oppure si può sostenere che uno speculatore è "libero" di fare esclusivamente il proprio interesse fino a far saltare per aria il sistema finanziario mondiale.

Molti economisti, politici e ideologi hanno sostenuto con forza queste "libertà" e hanno fatto di tutto (e continuano a fare di tutto) per impedire qualunque regolamentazione. Poi è ovvio che gli ex-dipendenti dello stabilimento non la prendano così con filosofia, e così pure non la prendono bene quelli i cui risparmi sono diventati carta straccia. Succede cioè che costoro, i danneggiati, non approvano più quella "libertà", benché la parola sia tanto bella da riempire la bocca.

Ma è ancora più interessante analizzare la reazione di quegli ex dipendenti dell’impresa delocalizzata. Reagiscono forse sempre con proteste, scioperi, mobilitazioni, picchetti, volantinaggi? No. A volte – i paesi poveri ne sono un esempio – non sono neanche in grado di comprendere la ragione della loro disgrazia. Anzi spesso ritengono del tutto naturale che il boiardo di turno li sfrutti fino all’osso: "si è sempre fatto così". Quindi in quei casi l’unica reazione del danneggiato è quella di mettersi a piangere. L'unica libertà che gli rimane è chiedere l'elemosina.

E' giusto difendere la “libertà di sfruttare” solo perché lo sfruttato non ha coscienza di classe e dunque non si agita vistosamente? E il fatto che non ha coscienza di classe, non dipende forse proprio dal fatto che viene sfruttato (ad esempio è analfabeta e lo stato non spende in istruzione pubblica per non tassare lo sfruttatore)?

Il velo islamico è un oggetto con una finalità precisa. Esso viene imposto ad una classe (l’universo femminile) per dimostrare che esiste un rapporto di dominio dell’uomo sulla donna. E’ l’equivalente della marchiatura del bestiame. Implica che tu donna devi essere casta e pura, io no. Implica che tu donna devi stare in basso e io in alto. Perché così ha detto il mio amico invisibile.

Il fatto che la classe sfruttata non abbia sufficiente coscienza per ribellarsi all’imposizione non cambia la natura del rapporto di sfruttamento. Dopodiché possiamo decidere che non è possibile intervenire, e ci sta anche come discorso. Non di meno pretendo che lo sfruttamento sia chiamato "sfruttamento", e non "libertà". Perché è qui il nocciolo della questione.

lunedì 20 settembre 2010

C'è modo e modo


Si può essere a favore o contro la legge francese che vieta il burqa. Il problema è motivare la propria posizione in modo intelligente. Cominciamo col negare gli argomenti pro e contro più popolari.

1) I Burqa è una tradizione:

Risposta diretta: balle. Il burqa è politica.

Risposta articolata: e allora? La storia è piena di tradizioni che nascono, cambiano, muoiono. Ciò accade non perché lo decide dio o la natura, ma perché differenti forze sociali interagiscono anche violentemente, e da quest'interazione viene fuori ciò che è l'etica, gli usi e le leggi di una società. Spesso questa dinamica è frutto dell'incontro-scontro tra diverse società e diverse concezioni di etica.

Nel 1945 l'imperatore giapponese smise di essere dio grazie alla costituzione imposta da McArthur. Oggi a distanza di 70 anni probabilmente a nessuno verrebbe in mente di tornare alla vecchia tradizione. Che si fa? Si può dare un giudizio morale su questa cosa? McArthur è "cattivo" perché non ha tenuto conto della tradizione giapponese? Oppure bisogna semplicemente prenderne atto?

In Iran nel 1925 una campagna di propaganda modernista, iniziata per volere del re Reza Khan Pahlavi e alternata a sufficienti dosi di repressione, impone alle donne di togliere il velo islamico integrale. Prima il velo era tradizione, ma nel 1975 è del tutto normale vedere donne vestite con la moda europea degli anni settanta.

Poi nel 1980 l'Ayatollah Khomeini - come già ebbi modo di scrivere - mise in piedi una campagna propagandistica e repressiva di segno opposto. Alla fine alle donne, che nel frattempo lavoravano ed erano vestite come le pareva, venne imposto almeno il floulard e il mantello. Quale tradizione avreste difeso in Iran? Quella del 1925 o quella del 1980?

Il velinismo, il machismo, l'uxoricidio, la maggiore empatia verso un criminale furbo anziché verso la sua vittima (considerata un povero fesso), persino la mafia e la camorra: tutta questa roba può essere considerata "tradizionale" nella società italiana. Che si fa, la si preserva come la mozzarella D.O.P.?

Dire che una cosa è tradizione, in sé, non significa e non giustifica una beata ceppa. Punto.

2) Bisogna proibire il burqa per motivi di sicurezza:

Argomento decisamente di retroguardia. Perché, se fosse garantita la sicurezza sarebbe da preservare? Basta che sono al sicuro io e che si fotta il mondo?

Sotto-argomento: fa paura ai miei bambini. Beh, bello mio, fai il tuo dovere di genitore e spiega al bambino che quella si mette in un sacco per lo stesso motivo per cui tu hai battezzato lui: facevate entrambi ciò che eravate convinti vi stesse chiedendo Dio. O più onestamente: a entrambi lo impone il vostro vivere sociale, e dato per accertato questo non vi siete più posti il problema se fosse giusto o sbagliato.

Vedrai che tuo figlio non è stupido quanto ami credere.

Concludendo:

L'unico tipo di argomentazione che io accetto è quella che ha a che fare con la libertà individuale.

Accetto che si dica che la legge francese colpisce la libertà personale di chi ama portare il burqa, ritenendo che in fondo si tratta solo di un capo di abbigliamento un po' strano, come la cresta viola per un punk.

Come accetto che si dica che il velo integrale non può essere frutto di una scelta libera ma solo di una manipolazione: che il velo cioè è la materializzazione del dominio dell'uomo sulla donna, e pertanto non può essere altro che illiberale nemmeno quando chi lo porta si dice d'accordo.

Poi, una volta motivato con argomenti sensati, ciascuno sceglie la propria posizione. Io scelgo la seconda.

venerdì 3 settembre 2010

Quinto potere, ovvero la prima rete privata iraniana


«Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti !». Ma, soprattutto, la televisione è la materializzazione di un'ideologia attraverso lo spettacolo.

Da un mesetto circa sono iniziate le trasmissioni della rete satellitare RASA sul territorio iraniano. La rete pur trasmettendo dall'estero lavora grazie all'investimento di iraniani politicamente vicini al movimento verde e puntano in questo modo a spezzare il controllo completo del governo sui media tradizionali. Alcune considerazioni sono d'obbligo.

1) Il capitale

Il network è a capitale iraniano, il che ha la sua importanza perché il pubblico iraniano è molto sensibile sull'argomento e guarderebbe con sospetto qualunque network a capitale straniero. Esistono già delle reti (BBC, VOA) che trasmettono in persiano, ma nessuna di queste è portavoce del movimento verde. Si colma cioè un vuoto.

2) E' un passo indietro?

Ci ricordiamo tutti che le fasi iniziali del movimento furono caratterizzate dall'aggiramento del controllo dei media grazie ai social network, marcatamente twitter e facebook. Molto è stato detto in proposito. Ora, il  fatto di aver creato un network televisivo potrebbe essere visto come un passo indietro, ossia l'ammissione che il controllo della televisione resta fondamentale.

Non è del tutto falso, ma il ragionamento è frutto di un errore di prospettiva. Proviamo a spiegare con un esempio. Il "medium" principale di una popstar, oggi, è il videoclip che verrà trasmesso da MTV. Il videoclip cioè è il prodotto principale. Vero è tuttavia che l'artista produce anche un CD e fa dei concerti. Significa forse che il CD e il live sono più importanti del clip in rotazione su MTV? No, al contrario, significa solo che si producono per integrare il prodotto principale.

I social network, i siti dei giornali, e prima ancora i blog vicini l'opposizione o comunque contrari all'ideologia di stato, nel corso degli ultimi 10 anni hanno permesso ai simpatizzanti dell'opposizione di trovarsi, contarsi, organizzarsi usando un canale meno controllabile. Se ora l'opposione decide di avviare un network televisivo lo sta facendo perché si rende conto che c'è un mercato. Ma questo mercato non sarebbe esistito senza la fase iniziale di diffusione ideologica attraverso internet.

Se non fossero usciti i videoclip "Applausi per Fibra" e "Bugiardo", Fabri Fibra non avrebbe certo venduto i CD che ha venduto e non avrebbe riempito le piazze coi suoi concerti. Sarebbe rimasto un fenomeno underground. Sto dicendo cioè che nel caso iraniano sono i nuovi media che stanno "tirando" la domanda del medium tradizionale televisivo.

3) Cosa ci mettiamo nella scatola?

Ebrahim Nabavi, comico satirico iraniano rifugiato all'estero, è stato uno dei più caldi sostenitori di un network televisivo privato iraniano. Recentemente in un articolo ha sottolineato diverse questioni relative al palinsesto. In particolare il fatto che la rete deve avere come target il pubblico che vive in Iran e non gli iraniani che vivono all'estero (che in generale sono gli oppositori più radicali).

Oltre a questo, però, ha colto pienamente nel segno anche con un altro punto. Una televisione generalista è principalmente il materializzarsi di un'ideologia che poi viene offerta allo spettatore. E' sbagliato pensare che il mezzo più importante sia il telegiornale o le interviste ai leader dell'opposizione ostracizzati dalla TV nazionale. Come sanno molto bene gli italiani l'ideologia si materializza attraverso l'intero palinsesto televisivo. La storia della televisione privata italiana è illuminante a questo proposito: nella nascita e diffusione del berlusconismo, trasmissioni di puro entertainment come "Drive In" furono molto più importanti dei TG di Mentana o di Fede, che non a caso vennero molto dopo.

In altre parole la neonata RASA ha molto lavoro di fronte a sé. Se vuole fare davvero concorrenza alla TV di stato deve avere un palinsesto completo per tutte le fasce sociali e anagrafiche, un palinsesto che materializzi la sua visione di società e di stato, e che la offra allo spettatore in alternativa a quella offerta dalla TV di stato.

Non è un obiettivo impossibile. In fior fiore di registi, attori, musicisti del paese sono all'estero e probabilmente collaborerebbero volentieri.