domenica 19 luglio 2009

Analisi politica del sermone di Rafsanjani

Non amo i mullah. Non amo nemmeno i miliardari, e Rafsanjani è entrambe le cose. Riesco però a riconoscere l'intelligenza e la capacità politica quando le vedo, e ancora una volta Rafsanjani le possiede entrambe.

La sua capacità di attraversare indenne tre decenni post rivoluzionari, diventando pilastro di una repubblica islamica che ha molto presto cominciato a divorare i propri figli, ricorda un altro ricco prete vissuto ai tempi di un'altra rivoluzione: Talleyrand.

Il discorso di ieri è stato un capolavoro di retorica e di fermezza. Senza mai nominare il governo in carica - quasi non ve ne fosse uno - Rafsanjani offre la sua ricetta per uscire dalla crisi: ritornare tutti alla legge repubblicana, liberare i prigionieri, ripagare i parenti delle vittime della repressione, smettere di occupare la televisione e la stampa.

Ha chiaramente criticato il Consiglio dei Guardiani ("non ha fatto un buon uso dei cinque giorni in più concessoi dalla Guida"), e ha persino criticato lo stesso Khamenei con una parabola: Alì stesso non si è imposto ad un popolo che non lo voleva, pur sapendo di essere stato scelto da Maometto. Ha aspettato 19 anni prima di diventare califfo, finché il popolo lo ha accettato. Chi ha orecchie intenda.

Infine, non è mai entrato nel merito della questione-brogli e si è guardato bene dal consigliare a Moussavi di accettare il risultato elettorale per il bene della patria. Insomma non ha affatto dato un colpo al cerchio e uno alla botte: i colpi li ha dati solo alla botte.

La TV iraniana ha cercato di dare uno "spin" moderato a questo discorso, sottolineandone solo l'auspicio di unità nazionale. Ma anche quando Rafsanjani ha parlato di un rientro nella legalità, non ha mancato di sottolineare: "tutti devono farlo, chi contesta, il governo, il parlamento, le forze dell'ordine, le istituzioni... tutti".

Il movimento era sulle spine. Molti non volevano partecipare. Si temeva che col suo discorso Rafsanjani avrebbe costretto Moussavi ad accettare il risultato elettorale, e che il movimento ne sarebbe uscito castrato. Ma i timori si sono rivelati infondati. Rafsanjani è un animale politico, fiuta la gente, e soprattutto fiuta il vento politico. Era la sua ultima occasione (fuori, prima del sermone, cantavano "Hashemi, se taci sei un traditore"), l'ha afferrata e il movimento lo ha magnanimamente accolto tra le sue braccia.

La partecipazione popolare è stata davvero incredibile, mai vista per una preghiera collettiva nemmeno ai tempi di Khomeini. Siamo agli stessi livelli delle manifestazioni massicce di giugno, quindi tra il milione e mezzo e i due milioni e mezzo di persone.

Si è cercato di evitare slogan direttti contro Khamenei. Ma spesso, molto spesso, si è cantato "morte alla Russia" (e un po' meno spesso "morte alla Cina"). E' un fatto politico notevole perché, che sia vero o no, la gente vede dietro al golpe la mano della Russia. Questo potrebbe avere effetti non da poco nello scacchiere centro asiatico, da qui a cinque anni.

Anche su questa questione viene fuori il grande vantaggio politico del movimento: sia la Russia che la Cina ci hanno dato dentro molto ferocemente contro i musulmani in Sinkiang-Uigur e nel Caucaso. Il fatto che nella Repubblica Islamica non si senta mai cantare "morte a..." verso questi due paesi, è un problema di incoerenza per un regime che fa affari con loro.

Il movimento, con un'intellienza politica che non ci si aspetterebbe dalle masse ma che esse hanno, allarga questa contraddizione e la sbatte in faccia al regime. Un regime che fa affari con nazioni che massacrano musulmani, un regime che arresta, carica, bersaglia di lacrimogeni una folla di fedeli che va alla preghiera del venerdì, prima ancora di aver perso la legittimità interna ha perso qualunque legittimità nei confronti della "umma" islamica.

Riassumendo: la preghiera collettiva dell'altro ieri, i temi che sono emersi, il modo in cui sono emersi, e l'attacco dell'antisommossa contro i fedeli in preghiera, ha rafforzato ulteriormente il movimento sotto tre aspetti.

Il primo è l'uscita allo scoperto di una "sponda politica" del movimento presente nelle istituzioni repubblicane: Rafsanjani ha parlato come uomo delle istituzioni, cioè in pratica nel ruolo di colui che sceglierà il prossimo Leader, e che può mettere sotto questione l'operato di quello in carica.

Il secondo aspetto è l'ulteriore dimostrazione di forza del movimento: nuovamente a milioni nelle strade. Venerdì per alcune ore si aveva l'impressione che la città fosse controllata dal movimento e non dal regime: cortei davanti al ministero degli interni, la TV nazionale assediata, e resistenza alle cariche della polizia. Inoltre si ha notizia di disordini, anche gravi, a Mashhad (dov'era presente Ahmadinejad), a Shiraz, a Isfahan e a Tabriz.

Il terzo punto, forse il più importante, è la maggiore chiarezza della situazione via via che gli eventi politici si evolvono. E' sempre più chiaro cioè che il regime si sta reggendo sulla sola forza militare e su un appoggio politico del tutto minoritario anche dentro le istituzioni: Hashemi Rafsanjani si porterà dietro una fetta non irrilevante dell'estabilishment.

Infine, sempre a questo riguardo, anche ideologicamente parlando il regime è "solo": qualche giorno fa tradussi una lettera di un "marjà" di Qom a Moussavi, in cui il religioso esprimeva la sua preoccupazione per la trasformazione della Repubblica Islamica in un "regime islamico". Oggi tutto questo ha ormai un altro colore: non siamo nemmeno più di fronte a un regime islamico, ma a un regime e basta.

A fine anni novanta molti religiosi, politici e sociologi, discutevano di un progressivo disinteresse dei giovani per l'Islam e per i valori della rivoluzione, e ne erano preoccupati. Oggi questo processo è giunto al suo culmine, perciò avevano ragione. Ma sbagliavano obiettivo: il processo di de-islamizzazione è in uno stato molto più avanzato tra gli uomini del regime e il suo apparato di repressione militare, che non tra le ragazze senza chador e tra i ragazzi col codino. In fondo questi non hanno mai attaccato o preso a bastonate una folla in preghiera!

2 commenti:

  1. prima di tutto grazie
    e se Akbar sta facendo un doppio gioco? anyway anche dopo quello che ha detto non é cambiato nulla! io non posso fidarmi ne alle mie orecchie ne ai miei occhi, questi sono capaci di uccidere loro "figli" ( Gilani)!!! senza batter occhio.
    ormai sembra un teatro, o un serial televisivo. Qualcosa come bold & beautiful...
    mi sento persa, perduta nei dubbi , e nello setesso momento triste per chi sta morendo o sta soffrendo.

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  2. E' sbagliato apettarsi che qualcosa cambi qualcosa perché Rafsanjani parla. Anche se l'Assemblea degli Esperti revocasse la carica di Guida a Khamenei - cosa che costituzionalmente ha diritto di fare - l'indomani i suoi membri dovranno emigrare in Iraq.

    Chi comanda non è nemmeno più Khamenei, chi comanda è la "Sepah": Pasdaran e Bassij. Questa gente va costretta. Ricordati che lo Shah aveva più potere e più consenso di loro.

    Riassumendo: il movimento deve restare compatto, per adesso sappiamo che lo è e continuerà anche ad esserlo nel futuro prevedibile. Il regime deve perdere pezzi, e questo sta succedendo: Rafsanjani fa fronda, i marjà minacciano di andare a Najaf, gli stessi "usul-garà", conservatori, non sono per nulla compatti.

    Il resto succederà da solo, a tempo debito.

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