giovedì 31 dicembre 2009

Ripetersi di un'esperienza fallimentare

Con il post di oggi, l'ultimo di quest'anno, concludo l'analisi iniziata ieri traducendo un articolo pubblicato sulla pagina FB "Enghelabe Sabz" (rivoluzione verde).

Come prevedibile oggi sono riprese le proteste in modo diffuso, almeno a Teheran (Vali Asr, Vanak, cimitero) con molti arresti. Il regime ha portato a Teheran nuovi giocattoli (non dei tank come sembrava leggendo televideo, ma dei blindati antisommossa pesanti con idranti). In nottata la IRNA ha cercato di fare "bulesumme" (in ligure: intorbidire le acque), raccontando la balla che Mousavi e Karoubi erano scappati. E' arrivata immediatamente la smentita degli interessati ma sono virtualmente agli arresti domiciliari.

Intanto un articolo pubblicato sul sito di Mohsen Makhmalbaf, scritto dopo aver intervistato ex impiegati dell'Ufficio della Guida oggi fuggiti all'estero, sta suscitando non poche reazioni in Iran. L'articolo elenca dettagliatamente l'immensa ricchezza del Leader: ville, aziende, titoli, collezioni, jet e auto private incluse. Una ricchezza ottenuta - rivelano gli intervistati - mediante una percentuale fatta sparire dai ricavi del petrolio. Viene evidenziato anche il ruolo del figlio Mojtaba Khamenei come mandante principale della stagione degli omicidi seriali degli intellettuali (anni novanta) in seguito alla quale l'intelligence di allora fu decapitata per eversione.

Soprattutto tenendo conto che Khamenei è detto dai suoi essere un uomo modesto, e che nessuno conosceva ad oggi la portata delle sue ricchezze, l'articolo presumibilmente finirà per causare ulteriori problemi di credibilità al Leader e il disamore di non pochi suoi "devoti". Ragion per cui da un paio di giorni questa cosa viene stampata e diffusa capillarmente dal movimento.

Ma torniamo alla traduzione, come al solito abbastanza libera, dell'analisi di Enghelabe Sabz.

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Nella situazione attuale i verdi, nonostante i divieti, organizzano manifestazioni di massa in occasione delle ricorrenze del regime. Nei giorni successivi il governo è costretto ad affrontare gravi costi materiali e politici militarizzando le strade, e viene così additato come il vero responsabile dei disagi lavorativi e quotidiani che ne conseguono.

Non c'è più alcun dubbio sul fatto che il movimento, seguendo la politica della resistenza passiva e pacifica, influenza la politica del governo e si impone ad esso. Il governo dal canto suo non riesce ad uscire dall'impasse.

Qualcuno aveva visto nella manifestazione pro-regime organizzata ieri un segno della volontà del governo di scontrarsi con il movimento a tutti i costi. Ma la paura del governo delle ricorrenze del terzo e settimo giorno dalla morte dei martiri di Ashura (27/12/09) ha trasformato la kermesse in una mossa difensiva per far tirare il fiato agli apparati di repressione.

Non sarebbe giusto negare che l'intensificazione degli arresti dei personaggi e leader di primo piano sarà un danno. Ma il movimento ha ormai trovato un suo specifico percorso e una sua organizzazione consolidata, perciò non esiste più alcun motivo di preoccupazione: il movimento proseguirà sulla sua strada con costanza, mentre il regime non è nemmeno in grado di frenarne la crescita.

Entropia

Fino al 7 dicembre il regime era una dittatura militare. Da quel giorno, e fino al 18 di dicembre, si è trasformato in un regime ideologico e ha proseguito in questo modo fino ai giorni di Tassua e Ashura.

In quei due giorni abbiamo rivisto in campo una dittatura militare, dopodiché il regime è diventato poliziesco e ha cercato di riparare allo smacco subito arrestando in massa i cittadini. Evidentemente nemmeno questa via è stata efficace, e dal 29 dicembre vediamo nuovamente in campo la dittatura militare.

Il regime è circondato da una società civile favorevole ai verdi, e per mantenersi in piedi ogni settimana cambia la sua natura più volte. Queste metamorfosi in definitiva sfibrano l'ossatura del regime e lo fanno crollare da dentro: la sostanza del governo viene distrutta principalmente da se stesso.

La metà nascosta

Ogni azione importante del movimento segna una fine e un inizio. Nel giorno di Ashura per la prima volta la gente ha preso a difendersi. In assenza di una polizia imparziale la gente ha difeso se stessa e i suoi averi da sola, non si è dispersa ed è tornata a casa solo quando ha deciso.

Ciò che è importante notare è che in quei due giorni il popolo ha mostrato al governo soltanto metà della propria furia. Ogni volta che la folla arrestava degli aggressori, metà della gente cercava di convincere l'altra metà a lasciarli andare, a non fargli del male.

Questo è un avvertimento molto serio al regime, se sapesse ascoltare. Perché è vero che ancora oggi metà della gente dice all'altra metà "lascialo andare", ma è anche vero che l'equilibrio tra queste due tendenze dipende da come agirà il regime. Si può essere in disaccordo ed esserlo in modo insanabile, ma il teppismo e lo squadrismo non sono necessari, sono scelte.

Terrorismo: un gioco pericoloso, ma per chi?

Secondo le prime testimonianze l'assassinio di Seyyed Ali Mousavi è stato eseguito con le modalità di un atto terroristico premeditato. L'esperienza insegna che, quando un regime mette mano ad una strategia simile, prima o poi i gruppi di fuoco finiscono per operare in autonomia e seguendo un'agenda propria, magari rivolgendosi contro gli stessi mandanti originari.

Nei giorni di Tassua e Ashura il sangue versato non fu conseguenza di una strategia di repressione su vasta scala, ma di azioni autonome di singoli reparti. Una strategia di terrore mirato contro i volti noti dell'opposizione o i loro famigliari, più che fermare il movimento, conduce all'isolamento del Capo dello Stato e all'impossibilità di qualunque via di uscita pacifica per la sua persona.

I gruppi di fuoco spendono un capitale che si trova nelle tasche dei capi del regime, il cui costo è un ulteriore odio popolare nei loro confronti. In compenso non portano alcun vantaggio strategico perché il movimento non fa un passo indietro.

Riflessi all'estero

Il termine "disfatta completa" è l'unico che può essere utilizzato per definire la politica estera del regime.

Qui non ci stiamo riferendo alle durissime prese di posizione dei paesi esteri contro la repressione. Ciò che è più interessante è il tono delle diplomazie di paesi come la Francia e la Russia che chiedono "a entrambe le parti" di trovare una via di uscita dalla crisi politica [la Russia in particolare ha espresso rammarico per il fatto di essere stata identificata dal movimento come mandante del golpe, il che a suo modo è molto significativo, ndt].

Oggi la politica mondiale si è convinta che il movimento verde e i suoi leader sono una forza politica stabile della società iraniana, e che il fronte golpista rappresenta solo una parte del paese. In altre parole il movimento verde non è più considerato una semplice rivolta urbana o un movimento di opinione, ma una forza politica a tutto tondo riconosciuta e rispettata nello scenario internazionale.

Infine

In questi giorni le strade sono nuovamente militarizzate. Come temeva il Leader la gente si sta abituando ad arrivare tardi al lavoro o non andarci, a prevedere del tempo quotidiano per manifestare contro il regime o per affrontare una discussione politica.

La lingua del manganello e del lacrimogeno non ha prodotto effetti apprezzabili, e il regime ha ormai poco tempo per imparare un linguaggio diverso e tentare di dialogare coi cittadini.

Il regime e il movimento hanno due possibilità di fronte: lo scontro definitivo, oppure il tentativo di trovare insieme una via di uscita. Il movimento non ha fretta, ma non vede nella parte avversa alcuna volontà di dialogo. E il tempo non scorre a favore del regime.

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3, 2, 1, BUM! 'fanculo anche al 2009 e auguri a tutti!

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