martedì 17 novembre 2009

Kiarostami VS Ghobadi - redux


Roozbeh Khosrovani è una firma abituale della webzine "rahesabz", organo internet del movimento verde. Ieri è apparso un suo articolo in risposta alla lettera aperta di Ghobadi a Kiarostami, apparsa a sua volta sulla stessa webzine e da me tradotta qui.

L'articolo di Khosrovani richiama alla linea strategica "unità prima di tutto" e cerca di gettare acqua sul fuoco. Ciò si rende necessario anche per spegnere sul nascere possibili tentativi di provocazione del regime miranti a creare rotture tra le componenti del movimento, in primo luogo tra la sua componente estera e quella interna. Tentativi sui quali recentemente hanno messo in guardia sia Mohsen Sazegara sia Mohsen Makhmalbaf, oltre che gli stessi Mousavi e Karoubi.

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A dire il vero quando ho letto la lettera aperta di Ghobadi a Kiarostami, nonostante la cosa mi abbia intristito, ho pensato che non erano affari miei. Kiarostami è, adulto, intelligente e dotato di lingua. Se lo avesse ritenuto opportuno avrebbe risposto, e di certo se avesse avuto bisogno di avvocati io non avrei avuto comunque alcun ruolo nella faccenda. Ma, dopo aver ricevuto diversi e-mail da amici, in qualche modo soddisfatti del contenuto della lettera di Ghobadi, ho pensato che dopo tutto non sarebbe male scrivere qualcosa in merito.

Personalmente detesto queste polemiche de-focalizzanti che ci allontanano dalle priorità del movimento, ma ho notato che molti amici non sapevano nulla della questione e giudicavano un grande personaggio come Kiarostami sulla base di informazioni parziali se non unilaterali.

La lettera di Ghobadi a Kiarostami era in risposta ad un'intervista in cui quest'ultimo dichiarava il suo desiderio di continuare a vivere in Iran nonostante le difficoltà. Ho letto quelle poche righe con molta simpatia, perché anch'io continuo a vivere in Iran condividendone contenuto e le motivazioni, e sono convinto che non siano poche le persone che la pensano allo stesso modo.

Prima di tutto è bene che gli amici leggano l'intervista a Kiarostami, qui. In quell'intervista Kiarostami parlava anche direttamente di Ghobadi, dicendo "se Ghobadi è convinto che fuori dal paese riuscirà a girare film migliori gli faccio i miei auguri, ma questa non è la mia esperienza personale". Credo che Kiarostami volesse semplicemente dire che, contrariamente a Ghobadi, non ritiene che girare film all'estero migliori la qualità dei suoi film, ma che anzi crede che la cosa produca l'effetto contrario.

Noi che abbiamo scelto di vivere in Iran, nonostante avessimo la possibilità di vivere all'estero, siamo persone comuni che hanno fatto questa scelta accettando le sue difficoltà e le sue dolcezze, tutto sommato preferendole all'esilio. Penso che, tra tutte le etichette da incollarci addosso, quella di "moderati" è un tantino ingiusta. Lo testimoniano i volti che vedo intorno a me in tutte le manifestazioni e in tutti gli scontri: persone che magari già anni addietro furono arrestate ed ora sono tornate alla loro vita normale, ma che essendosi presentata l'opportunità lottano spalla a spalla con migliaia di compatrioti e alzano la loro voce di protesta.

Comunque stiano le cose, noi che viviamo in Iran siamo ad una distanza inferiore dalla lama del boia. Sono certo che la quasi totalità degli amici che vivono all'estero sono emigrate negli anni '80 temendo ragionevolmente per la loro vita, ma la mia domanda è questa: che percentuale tra di loro continua a vivere all'estero oggi per la stessa ragione? Tra le mie conoscenze, tra le decine di persone che sono state costrette ad abbandonare il paese in quegli anni, coloro che rischierebbero l'arresto in caso di ritorno si contano sulle dita di una mano.

A mio parere la scelta del paese in cui vivere è personale. Certo i concittadini emigrati all'estero in quegli anni ormai hanno figli grandi, insomma si sono fatti una vita all'estero e non hanno nessuna voglia di affrontare un nuovo esilio, questa volta al contrario. Ma, cari amici che vivete all'estero per ragioni valide quanto volete, credetemi, etichettare come "moderati" noi e persone come Kiarostami, che viviamo in questo rudere, è profondamente ingiusto.

Un altro punto che bisogna tenere sempre a mente è che la forza di volontà cambia da persona a persona. Anche il modo e le occasioni in cui la volontà di una persona si manifesta cambiano, rendendo ovviamente impossibile qualunque forma di misurazione oggettiva. Io stesso, che partecipo a quasi tutte le manifestazioni, spesso sono sorpreso dal coraggio dei miei concittadini. In particolar modo quello delle donne. Cosa ci fa uno come me là in mezzo?

Ma non è importante. Ciò che è importante è che io, con tutta la mia "moderazione", non me ne sto in casa ed esco per la strada. Un altro magari non ha il coraggio di rischiare la strada e si limita a filmare e informare. Un terzo, come dice Mir Hossein Moussavi, non fa nemmeno quello e si limita a pregare o a sussurrare parole di pace e amicizia nelle orecchie di un basij... Ciò che caratterizza questo movimento è che chiunque fa del suo meglio per quanto consentitogli dalla sua indole, e tutti insieme affrontano - disarmati e indifesi - pallottole, pugnali, rischi personali. Sarebbe meglio se frenassimo la tendenza a etichettare, e valorizzassimo gli sforzi di tutti.

Io vivo in questo paese con tutte le sue difficoltà. Salgo su questi taxi scassati, lotto con i prezzi che volano come missili, sparlo dietro al regime in fila dal panettiere, litigo e mi faccio consolare dalla gente. Preferisco vivere qui che in qualunque altra parte del mondo, ma questa mia scelta non è un sacrificio, è appunto una scelta personale dovuta al fatto che non mi sono sentito "a casa" da nessun'altra parte.

Amici residenti all'estero, noi rispettiamo la vostra decisione di vivere fuori dall'Iran. Voi, per favore, cercate di comprendere e rispettare la nostra situazione, le nostre limitazioni, la nostra "moderazione". E non siate felici del giudizio severo e ingiusto del carissimo Bahman Ghobadi, che ha scelto di vivere a New York, e delle sue accuse a Kiarostami che invece ha scelto di vivere "in fondo a un vicolo cieco" a Teheran.

In ultimo, non è male se date una letta a questo comunicato [*] che denuncia il tentativo di cancellare il cinema iraniano indipendente, che porta, tra le altre, la firma del "moderato" Kiarostami.

[*] Ndt - Si tratta di un comunicato di una decina di righe, apparso anche su agenzie di stampa ufficiali del paese. Il comunicato denuncia il tentativo di normalizzare il cinema iraniano mediante l'uso simultaneo di strumenti legali (negazione di autorizzazioni a girare) e di mercato (esclusione dal ciclo distributivo). Tra la cinquantina di firme di registi si trova anche quella di Abbas Kiarostami.

2 commenti:

  1. Mi sembra che l'autore, dietro alla prosa diplomatica, celi una certa antipatia per chi "sceglie" l'esilio "volontario". Non credi?

    Hai per caso il link a una traduzione in inglese o in spagnolo del comunicato dei registi? Non riesco a trovarlo.

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  2. Su un piano strettamente "classista" la vera differenza sta tra chi ha la possibilità materiale di andare all'estero e chi non ce l'ha. Il primo può scegliere di andarci o non andarci, al secondo qualunque scelta del genere è preclusa: non ci va perché gli manca il capitale necessario.

    Fatta questa premessa, però, ritengo che il diritto di stabilire il livello e il "profilo" del confronto col regime spetti solo a chi vive in Iran. Lo dissi fin dal mio secondo post su questo blog.

    Credo che Roozbeh e la stragrande maggioranza degli iraniani la pensino così, persino tra quelli che vivono all'estero. E credo che abbia percepito, nelle parole di Ghobadi, una specie di incombente "giudizio" sull'impegno rivoluzionario profuso da un cittadino residente nel paese. Di qui un giustificabile fastidio.

    Per esperienza diretta sui gruppi FB legati al movimento, tra gli iraniani residenti all'estero solo due tipi di persone insistono a chiedere "più coraggio": gli idioti, e quelli ideologicamente motivati (MKO e monarchici) per il resto del tutto discreditati e privi di supporto nel paese.

    Un terzo tipo sono gli agenti provocatori del regime che mirano proprio ad estremizzare il movimento da un lato, e dall'altro a provocare spaccature tra le sue componenti.

    Ritengo che il dovere di un iraniano residente all'estero sia principalmente quello di proporre strategie organizzative e informare. In primis come "sponda" che riceve notizie dall'Iran e le riflette verso l'Iran stesso (dato che Internet è il principale medium del movimento). E in secondo luogo informare il pubblico del paese in cui risiede.

    Personaggi particolarmente in vista poi, come Sazegara, Makhmalbaf, Satrapi o altri, possono assolvere questo compito in modo più efficace.

    Questo è più o meno ritenuto essere un livello accettabile di impegno. Un impegno utile, anzi estremamente utile, e nel contempo non invadente. L'iraniano residente all'estero che resta nei termini di questa specie di gentlemen agreement gode del pieno supporto dei simpatizzanti residenti in Iran.

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