Nell'attesa di venire assalito dalla voglia di riassumere e tradurre 48 pagine di intervista di Hanaa Makhmalbaf al padre Mohsen, traduco questa breve intervista del gruppo Facebook "green revolution" al regista. L'intervista fa seguito alle minacce di "provvedimenti" non meglio specificati da parte di un capo dei Pasdaran contro gli attivisti del movimento fuori dal paese.
Green Revolution: Signor Makhmalbaf, l'Arma dei Pasdaran ha dichiarato che lei, Sazegara e un gruppo di altre persone, sareste i capi residenti all'estero del movimento verde, e vi ha minacciati pubblicamente. Crede che tali minacce possano essere tradotte in fatti?
Mohsen Makhmalbaf: Già un paio d'anni fa in Afghanistan, durante le riprese di un mio film, un elemento legato ai Pasdaran ha lanciato una granata d'assalto sul set. Va detto che allora il regime cercò di incolpare l'instabilità dell'Afghanistan mentre ora opera più alla luce del sole e rivendica prima.
G.R.: Come fa a sapere che l'attentato in Afghanistan fosse opera dei Pasdaran?
M.M.: Le persone presenti sul set riconobbero l'attentatore. Poi, un anno dopo, fu arrestata una cellula composta da elementi iraniani da una parte e da elementi afghani legati ad al-Qaeda dall'altra. La cellula rivendicò 13 attentati tra cui quello al nostro set.
G.R.: Crede che questa minaccia finirà per far diminuire l'attività del movimento all'estero?
M.M.: Perché? Forse le uccisioni, gli arresti, le torture, hanno fatto diminuire le attività del movimento dentro al paese, per riuscirci all'estero? Il movimento di opposizione nasce dalla rabbia per trent'anni di dittatura. Questo movimento, se non riuscirà a riformare, abbatterà. Che io o quelli come me siano vivi o morti. E poi non è che il nostro sangue valga più di quello di Neda. Noi non abbiamo paura del martirio. Il martirio è l'apice di una vita passata nella lotta. Io, quando avevo 17 anni, sono stato arrestato e condannato a morte. Ma il regime dello Shah era tutto sommato più umano, e dato che ero minorenne ha convertito la pena in 5 anni di carcere. Ricordo che piangevo per la delusione, e lo può testimoniare Hadi Khamenei fratello del Leader. E oggi, dopo la morte di Neda, molti di noi sono tornati diciassettenni e con la stessa passione di allora.
G.R.: C'è una questione di costi e benefici. Il regime non è ancora riuscito a riprendersi dall'eco internazionale della prima ondata di repressione. Se iniziasse a mettere in pratica operazioni terroristiche fuori dal paese, finirebbe per perdere qualunque presentabilità estera restando isolato. Negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione del 1979 ci saranno state più di cento uccisioni all'estero portate a termine da agenti della Repubblica Islamica, ma ad un certo punto il regime decise di porre fine a quel modo di operare. Esiste la possibilità che, spinto dalla paura, il regime le riprenda?
M.M.: Ammettiamo che uccidano uno di noi, quello che facevamo sarà fatto da qualcun altro. Le uccisioni che hanno già portato a termine non hanno fermato il movimento. Da mesi stanno mettendo sotto pressione Khatami, Mousavi e Karroubi perché parlino contro i militanti esteri del movimento. Appena settimana scorsa hanno interrogato per tre ore Mohammad Reza Beheshti per fargli fare i nomi dei leader del movimento fuori dal paese.
Speravano per questa via di poter creare delle divergenze nel movimento tra militanti residenti e militanti all'estero. Prima dicevano che la gente è stata provocata dai leader riformisti residenti nel paese. Ora dicono che i leader sono all'estero. La verità è che la gente non li sopporta più. Khamenei sta impazzendo per il fatto che dispone dell'Arma, del potere, di minacce e di premi, eppure tutti amano Montazeri! Tutti amano Khatami e Karoubi! E quindi ora tornano a minacciare, senza capire che il popolo non ha più paura.
Green Revolution: Signor Makhmalbaf, l'Arma dei Pasdaran ha dichiarato che lei, Sazegara e un gruppo di altre persone, sareste i capi residenti all'estero del movimento verde, e vi ha minacciati pubblicamente. Crede che tali minacce possano essere tradotte in fatti?
Mohsen Makhmalbaf: Già un paio d'anni fa in Afghanistan, durante le riprese di un mio film, un elemento legato ai Pasdaran ha lanciato una granata d'assalto sul set. Va detto che allora il regime cercò di incolpare l'instabilità dell'Afghanistan mentre ora opera più alla luce del sole e rivendica prima.
G.R.: Come fa a sapere che l'attentato in Afghanistan fosse opera dei Pasdaran?
M.M.: Le persone presenti sul set riconobbero l'attentatore. Poi, un anno dopo, fu arrestata una cellula composta da elementi iraniani da una parte e da elementi afghani legati ad al-Qaeda dall'altra. La cellula rivendicò 13 attentati tra cui quello al nostro set.
G.R.: Crede che questa minaccia finirà per far diminuire l'attività del movimento all'estero?
M.M.: Perché? Forse le uccisioni, gli arresti, le torture, hanno fatto diminuire le attività del movimento dentro al paese, per riuscirci all'estero? Il movimento di opposizione nasce dalla rabbia per trent'anni di dittatura. Questo movimento, se non riuscirà a riformare, abbatterà. Che io o quelli come me siano vivi o morti. E poi non è che il nostro sangue valga più di quello di Neda. Noi non abbiamo paura del martirio. Il martirio è l'apice di una vita passata nella lotta. Io, quando avevo 17 anni, sono stato arrestato e condannato a morte. Ma il regime dello Shah era tutto sommato più umano, e dato che ero minorenne ha convertito la pena in 5 anni di carcere. Ricordo che piangevo per la delusione, e lo può testimoniare Hadi Khamenei fratello del Leader. E oggi, dopo la morte di Neda, molti di noi sono tornati diciassettenni e con la stessa passione di allora.
G.R.: C'è una questione di costi e benefici. Il regime non è ancora riuscito a riprendersi dall'eco internazionale della prima ondata di repressione. Se iniziasse a mettere in pratica operazioni terroristiche fuori dal paese, finirebbe per perdere qualunque presentabilità estera restando isolato. Negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione del 1979 ci saranno state più di cento uccisioni all'estero portate a termine da agenti della Repubblica Islamica, ma ad un certo punto il regime decise di porre fine a quel modo di operare. Esiste la possibilità che, spinto dalla paura, il regime le riprenda?
M.M.: Ammettiamo che uccidano uno di noi, quello che facevamo sarà fatto da qualcun altro. Le uccisioni che hanno già portato a termine non hanno fermato il movimento. Da mesi stanno mettendo sotto pressione Khatami, Mousavi e Karroubi perché parlino contro i militanti esteri del movimento. Appena settimana scorsa hanno interrogato per tre ore Mohammad Reza Beheshti per fargli fare i nomi dei leader del movimento fuori dal paese.
Speravano per questa via di poter creare delle divergenze nel movimento tra militanti residenti e militanti all'estero. Prima dicevano che la gente è stata provocata dai leader riformisti residenti nel paese. Ora dicono che i leader sono all'estero. La verità è che la gente non li sopporta più. Khamenei sta impazzendo per il fatto che dispone dell'Arma, del potere, di minacce e di premi, eppure tutti amano Montazeri! Tutti amano Khatami e Karoubi! E quindi ora tornano a minacciare, senza capire che il popolo non ha più paura.
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