domenica 1 novembre 2009

Fine dell'enunciato assoluto

Nei prossimi post tradurrò due analisi politiche. Una, quella di oggi, non firmata e proveniente dal gruppo facebook "rivoluzione verde" (انقلاب سبز), di carattere tattico. "Tattico" nel senso che cerca di cogliere un preciso sviluppo della situazione partendo dalla critica durissima rivolta da uno studente a Khamenei durante un incontro ufficiale. Evento talmente surreale da ricordare vagamente i blitz situazionisti degli anni settanta.

La seconda analisi sarà del regista Mohsen Makhmalbaf, intervistato dalla figlia Hanieh, che cercherà di fornire un punto di vista complessivo e articolato sulla situazione politica in Iran, e degli scenari che secondo lui ci attendono.

Cominciamo dalla prima.

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Una sconfitta di velluto in una seduta tra amici

Mercoledì scorso una breve notizia ha fatto rapidamente il giro dei media. Durante una seduta istituzionale tra Khamenei e un gruppo di notabili e studenti eccellenti, uno studente è riuscito ad esporre una parte delle verità avvenute subito dopo le elezioni, con grande sorpresa e imbarazzo del Leader.

Durante lo stesso incontro il Leader aveva attaccato duramente i capi del movimento verde, dichiarando un "grave reato" mettere in dubbio il risultato delle elezioni. Ciò è stato interpretato dai più, con una certa preoccupazione, come l'inizio di un nuovo piano repressivo contro il movimento.

Tuttavia a noi tale preoccupazione sembra immotivata, dato che il regime golpista non ci sembra in condizione tale da poter mettere in atto simili minacce. Per dimostrare questa tesi evidenziamo due punti.

Nella situazione attuale quasi nessuno nel paese considera stabile il regime. E' inutile presentare memoriali, richieste di amnistia, doleances o critiche. Come abbiamo visto il regime non ha alcun desiderio di punire i responsabili delle illegalità, nemmeno quando questi si sono macchiati dell'omicidio del figlio di uno di loro. Qualunque discussione di questo tenore, con gente che considera "coraggio" la negazione dell'evidenza, è del tutto inutile.

Tuttavia l'intervento dello studente in questione non può essere definito propriamente "critica", e non può essere definito una lamentela indirizzata ad un'istituzione autorevole.

Quello studente è lo stesso "nemico di velluto" la cui voce sarebbe dovuta essere soffocata già nelle università, dagli ufficiali del regime. E' lo stesso nemico morbido che avrebbe dovuto ricevere una risposta durissima con gli stupri del campo di Kahrizak . Ciò non è accaduto, anzi. Il nemico di velluto si è insinuato, in modo vellutato, fin nel cuore del regime, e vi ha portato un attacco senza precedenti e devastante. Un attacco che ha chiarito come il potere non è al sicuro nemmeno nella propria fortezza.

Quel "vicario della Fede" (Khamenei, ndt), che in passato definiva il giusto e l'ingiusto, l'amico e il nemico, oggi è impotente di fronte all'infiltrarsi del nemico tra le sue stesse mura: il nemico è in casa sua, respira dietro le sue orecchie, e lo diffama ogni volta che lo desidera. Si dovrebbe chiedere, a chi crede ancora nella sacralità di una simile istituzione: com'è possibile che questo signore, impotente anche nella difesa di casa propria, possa difendere il seme dell'Islam dalle intemperie del mondo?

La maggioranza degli analisti hanno interpretato le recenti argomentazioni di Khamenei come un nuovo attacco ai capi del movimento verde, e come il suo benestare a dure condanne per i prigionieri. Forse in prima istanza queste conclusioni possono apparire corrette, ma va detto che la situazione politica del paese è assai differente, non solo rispetto a pochi anni fa, ma persino rispetto agli ultimi mesi.

Tenendo presente questo, e avendo in mente la pesante ed inaspettata requisitoria subita in casa propria, si deve concludere che parlare di "grave crimine" commesso da chi non accetta il risultato delle elezioni è solo un tentativo di difesa, volto a far passare in secondo piano il "lieve crimine" del golpe. I discorsi della Guida non nascono dalla mera volontà di ordinare una nuova e potente ondata repressiva. Nascono come manovra difensiva, resasi necessaria per evitare la completa implosione delle forze favorevoli al golpe (*).

Il signor "enunciato assoluto" (**) che negli ultimi 20 anni definiva politiche interne ed estere dei governi, senza mai esporsi personalmente, in modo del tutto irresponsabile e senza mai poter subire alcuna critica, dopo essersi visto snocciolare le proprie colpe (e nemmeno tutte) all'interno delle sue mura fortificate, è stato preso da un tale sgomento da arrivare ad approvare la natura eversiva del golpe pur di mettere in piedi una trafelata autodifesa.

Tutto questo si sposa con la situazione di imbarazzo e di erosione nella quale si trovano le forze golpiste. Le forze fedeli a "enunciato assoluto" avrebbero dovuto creare intorno a lui un cordone di protezione, accusando di "golpe" Mousavi e Karroubi . Ma non è servito a nulla. Il cordone è stato superato da un devastante virus di velluto, che ha messo in ridicolo vent'anni di messinscena chiamata "incontro amichevole del Leader con gli intellettuali".

I discorsi aggressivi del Leader non devono preoccupare. Sono una confessione. "Enunciato assoluto" sta pubblicamente ammettendo che nessuno lo considera più una fonte assoluta di enunciati. Sta ammettendo che le persone scendono per le strade senza il suo permesso, e sta pubblicamente ammettendo che i veri eletti del popolo - Mousavi e Karroubi - non prendono nella minima considerazione i suoi messaggi personali e i suoi pizzini.

Per osservare la realtà fisica della fine di "Enunciato Assoluto", è sufficiente confrontare la scompostezza dei suoi discorsi con la moderazione e la serenità dei comunicati di Karoubi e di Mousavi.

Il golpe si è impantanato e si avvia alla sconfitta, mentre il popolo è sulla strada della vittoria finale. Ma questa notizia per i golpisti è talmente dolorosa che sarà necessario farglielo capire poco alla volta. Il loro problema non è solo la sconfitta in una competizione politica: è la presa di coscienza della fine di tutto un discorso ideologico.

Noi oggi, avendo a cuore il bene del paese, dobbiamo correre in loro aiuto con empatia e compassione, in modo che possano accettare la realtà del paese con la minima quantità di violenza e devastazione possibile. Bisogna che costoro vengano persuasi del fatto che hanno perso, e che non è il caso che tormentino se stessi e il paese agendo in modo scomposto. In una parola i verdi non devono agire come coloro che hanno dubbi sulla vittoria finale. Non devono perdere la propria moderazione e la propria innocenza.

Senza dubbio la presenza calma e civile del movimento nella grande marcia del 4 novembre sarà un altro chiodo sulla bara del golpe (...) i verdi ora devono chiarire la propria politica, interna ed estera, senza alcuna ambiguità.

Durante le prime manifestazioni, il movimento ha chiarito la propria fede assoluta nell'indipendenza e nella sovranità nazionale. Durante la manifestazione della giornata di Al-Quds, poi, ha dichiarato in modo esemplare la propria politica estera regionale.

Oggi il popolo, come unico legittimo titolare di "enunciati assoluti", nella giornata che commemora l'ostilità del gruppo al potere con tutto il mondo (***), può dichiarare senza timori e balbuzie la fine di trent'anni spesi a fabbricare nemici. In modo da poter essere pronto per prendere in mano le redini dello stato, e far comprendere alle potenze estere che non è il caso di dialogare e contrattare con un governo destinato alla caduta.

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(*) Nota mia: anche il rifiuto di ratificare il protocollo atomico, già sottoscritto dai negoziatori e qui analizzato a suo tempo, va visto in quest'ottica. Oltretutto i negoziatori sono ora bruciati perché si sono giocati completamente la faccia.

(**) Tradotto da (فصل الخطاب): il potere del Leader di mettere la parola "fine" sulle questioni politiche e religiose. Qualcosa di simile al "Ahug!" del capo indiano. Con la differenza che i pellerossa nell'immaginario collettivo, e non senza ragioni, sono parecchio più sexy di Khamenei!

(***) Il 4 novembre è il trentesimo anniversario dell'irruzione degli studenti di Teheran nell'ambasciata americana, e la presa in ostaggio del suo personale, con l'accusa di spionaggio e complotto ai danni del governo rivoluzionario. Il personale venne liberato 444 giorni dopo, il giorno dell'insediamento di Ronald Reagan.

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