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L'11 febbraio è passato col suo carico di desideri e di idee. L'attesa era stata eccessivamente dolce, quindi il risultato è stato meno dolce di ciò che ci si attendeva. Per le azioni di quella giornata si era scelta una modalità operativa che piacque alla maggioranza ma che, nei fatti, si è dimostrata inadeguata. Perciò da oggi si dovranno proporre nuove tattiche.
L'intelletto colletivo dei verdi dovrà prendere le mosse dall'esperienza fatta, e si dovrà prestare ora maggiore attenzione a coloro che a suo tempo si erano detti contrari a alla modalità operativa dell'11 febbraio. Si dovrà poi giungere a nuove scelte e decisioni. Questo è il procedimento democratico che i verdi hanno in mente per la gestione della società, ed è proprio quel tipo di procedimento che il regime evita accuratamente. Perché, diversamente dal movimento, chi è vicino al regime non vuole accettare la responsabilità delle proprie azioni.
Uno dei significati della democrazia è il governo dell'intelletto collettivo con l'avvallo della maggioranza. Ma l'intelletto collettivo laicamente accetta la possibilità della propria fallibilità, ed è per questo che lascia aperta la porta alla riforma. Questa è la ragione per cui in democrazia si riconosce alla minoranza la piena libertà di parola.
Quando invece si preferisce negare la fallibilità dell'intelletto umano, ci si deve ancorare a concetti come l'investitura divina. Il fine è quello di rifiutare la responsabilità dei propri errori, demandandola a Dio o alla Nazione.
Con questa premessa cercheremo di analizzare la giornata dell'11 febbraio da tre angolazioni:
1) La vittoria dei golpisti:
Non tutti coloro che ritengono la giornata di ieri una vittoria dei golpisti sono dei traditori o degli infiltrati. E però va da sé che costoro non considerano la "sconfitta" di ieri grave e definitiva come fosse la sconfitta del Giappone nel secondo conflitto mondiale! Se consideriamo i golpisti vittoriosi, dobbiamo tenere a mente due considerazioni.
In primo luogo è nostro preciso dovere conoscere i nostri punti deboli e tentare di correggerli.
La maggior parte di noi ha appoggiato l'idea della tattica del "cavallo di troia". Ma dobbiamo onestamente ammettere che non era chiaro quale fosse l'obiettivo: volevamo impedire il discorso di Ahmadinejad? O volevamo sostenere il nostro punto di vista? Il movimento deve sapere se il suo obiettivo è quello di zittire l'avversario, o quello di ritenere sempre e comunque sacra la libertà di pensiero. Fosse anche il pensiero dei mercenari del regime.
Non era molto chiara nemmeno la tattica. Alcuni appoggiavano l'idea della marcia silenziosa, altri insistevano sul "farla finita una volta per tutte". La maggior parte si volevano dirigere verso piazza Azadi, ma c'era anche chi parlava di "conquistare Evin" o la sede della Radio Televisione. In tutto questo anche Karoubi ha annunciato il proprio percorso per arrivare in piazza Azadi.
Forse la volontà di ripetere la giornata di Al-Quds e di minimizzare i costi umani della marcia ha convinto la maggioranza della bontà dell'idea del "cavallo di troia". Così non abbiamo prestato l'attenzione dovuta al comunicato numero 17 di Mousavi, in cui si sottolineava la necessità di mantenere distinta sempre, comunque, e chiaramente, la "nostra identità" dalla loro.
Così l'11 febbraio abbiamo imparato che non dobbiamo mai nascondere la nostra identità per un fine tattico. Ma nelle condizioni attuali ciò ha dei costi che dobbiamo essere pronti ad affrontare. Esattamente come i golpisti, che erano decisi a non ripetere un'altra giornata di Al-Quds e così hanno fatto delle scelte accettandone le conseguenze.
Non ultimo, abbiamo anche imparato a non alimentare le nostre aspettative in modo eccessivo con parole come "conquista" o "farla finita". La festa del "charshanbeh suri" [martedì sera 16 marzo] è una buona occasione per verificare se abbiamo imparato la lezione.
Secondo: nella politica non ci sono ultime occasioni. Ciò che non ti uccide di fortifica. Anche ammettendo la sconfitta nella giornata di ieri, non si devono dimenticare le responsabilità che il regime si è preso, indebolendosi presso la propria parte moderata: se persino dopo una "vittoria" i golpisti non accettano di garantire le libertà costituzionali, è chiaro anche per i moderati che non avranno mai intenzione di farlo [...].
2) La vittoria del movimento:
Pur restando lontani da letture mitizzanti, va detto che la presenza del movimento era forte e palpabile. Si puo dire che la presenza verde non era affatto esigua, era dispersa. E questo nonostante un'atomosfera di fortissime pressioni mediatiche e poliziesche.
Per contro va anche detto che proprio la necessità del regime di ricorrere a una simile organizzazione e militarizzazione dimostra chiaramente che esso ha ormai perso la capitale, e si è arroccato sulla difensiva in una profondissima provincia fatta di piccoli villaggi. Tutto questo mentre chiaramente non è possibile non solo aumentare ma anche solo mantenere una simile repressione nel tempo.
Tra il 27 dicembre e l'11 febbraio sono stati arrestati tutti gli attivisti un minimo noti, persino gli artisti. Tutti i siti web contrari al regime sono stati filtrati e la velocità complessiva della banda ridotta al minimo. Tutte le reti satellitari sono state oscurate da onde di disturbo [violando le convenzioni internazionali sottoscritte]. In ultimo sono state impiccate due persone innocenti.
Ma, nonostante tutto questo, il movimento si è comunque presentato nelle strade. Oltretutto fuori da Teheran, nei capoluoghi, la presenza del movimento era più visibile (per il fatto di non aver adottato lì la tattica del cavallo di troia la loro massa si notava). Questa volta oltre alle città di Isfahan e Shiraz, si sono mosse Ahvaz e persino paesi come Shahre Kord e Shahrud.
Tirando le somme i verdi, di fronte alla violenza senza precedenti del regime, si sono comunque presentati nelle strade. Il regime, per la fortissima paura che il movimento gli incute, è stato costretto a celebrare il più triste e ignominioso compleanno di tutti i 31 anni di vita della Repubblica Islamica.
3) Il superamento dei concetti di "vittoria" e "sconfitta":
La rivoluzione islamica è iniziata con delle manifestazioni popolari a sostegno della carta costituzionale, ma i ripetuti errori del regime di allora portarono alla caduta della monarchia in due anni. Forse il movimento ha commesso degli errori ieri, ci sta, un errore non è la fine del mondo. Ma perseverare nell'errore è mortale, e il governo sta ripetendo gli stessi errori da otto mesi, ogni volta in uno scenario più vasto.
E' necessario che il movimento giunga ad una visione del futuro del paese che non si risolva in una vittoria per una parte ed una sconfitta per l'altra. Perché se consideriamo tutto questo una questione di vita o morte, allora la nostra vittoria significherà la morte dell'avversario.
Non si tratta di scendere a compromessi. Tutto il mondo vede molto chiaramente quant'è odioso il gioco dei golpisti, che reprimono le aspettative della maggioranza facendosi scudo di una minoranza. Ma noi non dobbiamo odiare l'avversario, perché non saremmo in grado di pensare a lui in modo corretto e obiettivo. Vorremmo evitare di distruggere lo "scudo" pur di vincere.
Più importante: chi pensa costantemente alla vittoria perde l'occasione di vivere serenamente. I verdi ieri hanno dimostrato di amare la vita più di quanto non amino la vittoria ad ogni costo [...].
Oggi coloro che in questo paese pretendono di avere investitura divina sanno che il movimento ha ed avrà un ruolo di primo piano nel paese. Ci siamo resi conto di quanto questo paese abbia bisogno di noi. Un numero ragguardevole dei nostri compatrioti sono costretti dalla fame a chiudere gli occhi su Sohrab, su Neda e su Taraneh: per la semplice promessa di un succo di frutta, una porzione di riso, e pochi euro.
Non dobbiamo dimenticare che uccidere i "Sohrab" [*] non è un'usanza di questo regime, ma una radicata tradizione delle nostre contrade. Trionfare su questa tradizione nefasta richiede grande saldezza. L'embrione del nuovo "Sohrab" è stato concepito otto mesi fa, e nascerà all'inizio della primavera.
[*] NdT: Il riferimento è a Sohrab A'rabi, uno dei primi martiri delle proteste post elettorali. Ma è un gioco poetico: Sohrab, figlio di Rostam, è un erore del Libro dei Re del poeta Ferdowsi. Lotta contro suo padre senza saperlo e viene da questi ucciso. Il momento in cui promette la vendetta di suo padre al suo uccisore, e scopre invece che è stato ucciso proprio da suo padre, è uno dei momenti più toccanti dell'intero poema.
Resto sempre più sorpreso da questa generazione di compaesani. Nella premessa sembra esserci un riferimento più o meno diretto al concetto di "General Intellect" di Marx spiegato da Virno. E poi la terza parte dell'analisi è davvero meravigliosa...
Cito da "La Società dello Spettacolo" (Guy Debord - 1967):
86. "Tutta l'insufficienza teorica nella difesa scientifica della rivoluzione proletaria può essere ricondotta [...] ad un'identificazione del proletariato con la borghesia dal punto di vista della conquista rivoluzionaria del potere".
88. [...] Il proletariato non può essere esso stesso il potere se non diventando la classe della coscienza [...] la conquista giacobina dello stato non può essere il suo strumento: nessuna ideologia può servirgli a far passare dei fini parziali per fini generali".
L'intelletto colletivo dei verdi dovrà prendere le mosse dall'esperienza fatta, e si dovrà prestare ora maggiore attenzione a coloro che a suo tempo si erano detti contrari a alla modalità operativa dell'11 febbraio. Si dovrà poi giungere a nuove scelte e decisioni. Questo è il procedimento democratico che i verdi hanno in mente per la gestione della società, ed è proprio quel tipo di procedimento che il regime evita accuratamente. Perché, diversamente dal movimento, chi è vicino al regime non vuole accettare la responsabilità delle proprie azioni.
Uno dei significati della democrazia è il governo dell'intelletto collettivo con l'avvallo della maggioranza. Ma l'intelletto collettivo laicamente accetta la possibilità della propria fallibilità, ed è per questo che lascia aperta la porta alla riforma. Questa è la ragione per cui in democrazia si riconosce alla minoranza la piena libertà di parola.
Quando invece si preferisce negare la fallibilità dell'intelletto umano, ci si deve ancorare a concetti come l'investitura divina. Il fine è quello di rifiutare la responsabilità dei propri errori, demandandola a Dio o alla Nazione.
Con questa premessa cercheremo di analizzare la giornata dell'11 febbraio da tre angolazioni:
1) La vittoria dei golpisti:
Non tutti coloro che ritengono la giornata di ieri una vittoria dei golpisti sono dei traditori o degli infiltrati. E però va da sé che costoro non considerano la "sconfitta" di ieri grave e definitiva come fosse la sconfitta del Giappone nel secondo conflitto mondiale! Se consideriamo i golpisti vittoriosi, dobbiamo tenere a mente due considerazioni.
In primo luogo è nostro preciso dovere conoscere i nostri punti deboli e tentare di correggerli.
La maggior parte di noi ha appoggiato l'idea della tattica del "cavallo di troia". Ma dobbiamo onestamente ammettere che non era chiaro quale fosse l'obiettivo: volevamo impedire il discorso di Ahmadinejad? O volevamo sostenere il nostro punto di vista? Il movimento deve sapere se il suo obiettivo è quello di zittire l'avversario, o quello di ritenere sempre e comunque sacra la libertà di pensiero. Fosse anche il pensiero dei mercenari del regime.
Non era molto chiara nemmeno la tattica. Alcuni appoggiavano l'idea della marcia silenziosa, altri insistevano sul "farla finita una volta per tutte". La maggior parte si volevano dirigere verso piazza Azadi, ma c'era anche chi parlava di "conquistare Evin" o la sede della Radio Televisione. In tutto questo anche Karoubi ha annunciato il proprio percorso per arrivare in piazza Azadi.
Forse la volontà di ripetere la giornata di Al-Quds e di minimizzare i costi umani della marcia ha convinto la maggioranza della bontà dell'idea del "cavallo di troia". Così non abbiamo prestato l'attenzione dovuta al comunicato numero 17 di Mousavi, in cui si sottolineava la necessità di mantenere distinta sempre, comunque, e chiaramente, la "nostra identità" dalla loro.
Così l'11 febbraio abbiamo imparato che non dobbiamo mai nascondere la nostra identità per un fine tattico. Ma nelle condizioni attuali ciò ha dei costi che dobbiamo essere pronti ad affrontare. Esattamente come i golpisti, che erano decisi a non ripetere un'altra giornata di Al-Quds e così hanno fatto delle scelte accettandone le conseguenze.
Non ultimo, abbiamo anche imparato a non alimentare le nostre aspettative in modo eccessivo con parole come "conquista" o "farla finita". La festa del "charshanbeh suri" [martedì sera 16 marzo] è una buona occasione per verificare se abbiamo imparato la lezione.
Secondo: nella politica non ci sono ultime occasioni. Ciò che non ti uccide di fortifica. Anche ammettendo la sconfitta nella giornata di ieri, non si devono dimenticare le responsabilità che il regime si è preso, indebolendosi presso la propria parte moderata: se persino dopo una "vittoria" i golpisti non accettano di garantire le libertà costituzionali, è chiaro anche per i moderati che non avranno mai intenzione di farlo [...].
2) La vittoria del movimento:
Pur restando lontani da letture mitizzanti, va detto che la presenza del movimento era forte e palpabile. Si puo dire che la presenza verde non era affatto esigua, era dispersa. E questo nonostante un'atomosfera di fortissime pressioni mediatiche e poliziesche.
Per contro va anche detto che proprio la necessità del regime di ricorrere a una simile organizzazione e militarizzazione dimostra chiaramente che esso ha ormai perso la capitale, e si è arroccato sulla difensiva in una profondissima provincia fatta di piccoli villaggi. Tutto questo mentre chiaramente non è possibile non solo aumentare ma anche solo mantenere una simile repressione nel tempo.
Tra il 27 dicembre e l'11 febbraio sono stati arrestati tutti gli attivisti un minimo noti, persino gli artisti. Tutti i siti web contrari al regime sono stati filtrati e la velocità complessiva della banda ridotta al minimo. Tutte le reti satellitari sono state oscurate da onde di disturbo [violando le convenzioni internazionali sottoscritte]. In ultimo sono state impiccate due persone innocenti.
Ma, nonostante tutto questo, il movimento si è comunque presentato nelle strade. Oltretutto fuori da Teheran, nei capoluoghi, la presenza del movimento era più visibile (per il fatto di non aver adottato lì la tattica del cavallo di troia la loro massa si notava). Questa volta oltre alle città di Isfahan e Shiraz, si sono mosse Ahvaz e persino paesi come Shahre Kord e Shahrud.
Tirando le somme i verdi, di fronte alla violenza senza precedenti del regime, si sono comunque presentati nelle strade. Il regime, per la fortissima paura che il movimento gli incute, è stato costretto a celebrare il più triste e ignominioso compleanno di tutti i 31 anni di vita della Repubblica Islamica.
3) Il superamento dei concetti di "vittoria" e "sconfitta":
La rivoluzione islamica è iniziata con delle manifestazioni popolari a sostegno della carta costituzionale, ma i ripetuti errori del regime di allora portarono alla caduta della monarchia in due anni. Forse il movimento ha commesso degli errori ieri, ci sta, un errore non è la fine del mondo. Ma perseverare nell'errore è mortale, e il governo sta ripetendo gli stessi errori da otto mesi, ogni volta in uno scenario più vasto.
E' necessario che il movimento giunga ad una visione del futuro del paese che non si risolva in una vittoria per una parte ed una sconfitta per l'altra. Perché se consideriamo tutto questo una questione di vita o morte, allora la nostra vittoria significherà la morte dell'avversario.
Non si tratta di scendere a compromessi. Tutto il mondo vede molto chiaramente quant'è odioso il gioco dei golpisti, che reprimono le aspettative della maggioranza facendosi scudo di una minoranza. Ma noi non dobbiamo odiare l'avversario, perché non saremmo in grado di pensare a lui in modo corretto e obiettivo. Vorremmo evitare di distruggere lo "scudo" pur di vincere.
Più importante: chi pensa costantemente alla vittoria perde l'occasione di vivere serenamente. I verdi ieri hanno dimostrato di amare la vita più di quanto non amino la vittoria ad ogni costo [...].
Oggi coloro che in questo paese pretendono di avere investitura divina sanno che il movimento ha ed avrà un ruolo di primo piano nel paese. Ci siamo resi conto di quanto questo paese abbia bisogno di noi. Un numero ragguardevole dei nostri compatrioti sono costretti dalla fame a chiudere gli occhi su Sohrab, su Neda e su Taraneh: per la semplice promessa di un succo di frutta, una porzione di riso, e pochi euro.
Non dobbiamo dimenticare che uccidere i "Sohrab" [*] non è un'usanza di questo regime, ma una radicata tradizione delle nostre contrade. Trionfare su questa tradizione nefasta richiede grande saldezza. L'embrione del nuovo "Sohrab" è stato concepito otto mesi fa, e nascerà all'inizio della primavera.
[*] NdT: Il riferimento è a Sohrab A'rabi, uno dei primi martiri delle proteste post elettorali. Ma è un gioco poetico: Sohrab, figlio di Rostam, è un erore del Libro dei Re del poeta Ferdowsi. Lotta contro suo padre senza saperlo e viene da questi ucciso. Il momento in cui promette la vendetta di suo padre al suo uccisore, e scopre invece che è stato ucciso proprio da suo padre, è uno dei momenti più toccanti dell'intero poema.
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Resto sempre più sorpreso da questa generazione di compaesani. Nella premessa sembra esserci un riferimento più o meno diretto al concetto di "General Intellect" di Marx spiegato da Virno. E poi la terza parte dell'analisi è davvero meravigliosa...
Cito da "La Società dello Spettacolo" (Guy Debord - 1967):
86. "Tutta l'insufficienza teorica nella difesa scientifica della rivoluzione proletaria può essere ricondotta [...] ad un'identificazione del proletariato con la borghesia dal punto di vista della conquista rivoluzionaria del potere".
88. [...] Il proletariato non può essere esso stesso il potere se non diventando la classe della coscienza [...] la conquista giacobina dello stato non può essere il suo strumento: nessuna ideologia può servirgli a far passare dei fini parziali per fini generali".
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