"Alla rivoluzione si crede solo quand'è avvenuta". Questo è il commento all'esagramma 49 dell'I Ching che, prima di essere un oracolo, è uno splendido testo di epigrammi.
Un caro amico settimana scorsa mi chiedeva la ragione di una certa "viltà" riscontrata nell'atteggiamento di Khatami, diversamente da Mousavi e Karoubi i quali sembrano invece solidi come dei muri di pietra. Ho preso una settimana per pensarci, perché volevo un po' uscire dalla banalità delle differenze caratteriali.
Il rapporto tra Khatami e gli studenti 10 anni fa non va confuso con quello di Mousavi e il movimento oggi. In quegli anni la figura del Leader non era ancora squalificata, il paese era ben gestito da un governo (quello di Khatami) onesto e popolare. Il tessuto economico del paese non era stato devastato dalle privatizzazioni, dall'inflazione al 40%, dal quasi fallimento di due delle banche principali del paese, e dalla feroce concorrenza delle merci cinesi che hanno inondato il mercato interno.
Insomma la Repubblica Islamica era popolare e in salute, e la si credeva avviata sulla strada di riformarsi pacificamente e gradualmente. Il problema politico, allora, consisteva nel fatto che istituzioni come il Leader e il Consiglio dei Guardiani si misero di traverso, contro la volontà di un governo e di un parlamento che - essendo eletti a suffragio universale - erano in realtà gli unici legittimi depositari della volontà popolare.
Ma non lo fecero illegalmente: la costituzione della Repubblica Islamica prevede che quelle istituzioni possano avere l'ultima parola. Non si può pretendere, da una costituzione, che abroghi se stessa alla radice: ciò deve essere fatto con un processo chiamato "sospensione della legalità". In altre parole era necessaria l'illegalità di una rivoluzione.
Ma mettersi nell'illegalità comporta una grossa responsabilità politica. Soprattutto se sei il presidente della repubblica e lo sei in modo onesto. Khatami non poteva appoggiare quegli studenti che si erano posti al di fuori della legalità allora, perché, anche volendolo, non avrebbe avuto alcun seguito popolare. E il fatto che non lo avrebbe avuto è dimostrato dal fatto che gli stessi studenti non sono stati difesi dal popolo. In altre parole i tempi non erano maturi.
Quella stagione finì con le elezioni parlamentari del 2001 durante le quali la base riformista, per protestare contro l'esclusione di più di 3.000 candidati per opera del Consiglio dei Guardiani, disertò le urne. Il parlamento finì nella mani dei conservatori, e vi sarebbe finita anche la presidenza 4 anni dopo.
La situazione oggi è completamente differente. Oggi chi ha un atteggiamento davvero incomprensibile non è Khatami il quale, volente o nolente, insieme agli altri due soci, viene considerato dal regime e dai suoi media un traditore punto. L'atteggiamento curioso è quello di Rafsanjani.
Rafsanjani è autore di una lettera aperta, che ormai potremmo definire storica, indirizzata a Khamenei qualche giorno prima delle elezioni del 12 giugno 2009. Si lamentava dell'atteggiamento eversivo di coloro che poi furono gli autori del golpe elettorale (Ahmadinejad, il Consiglio dei Guardiani, gli alti gradi della Sepah), e previde con precisione la rivolta popolare che vi sarebbe seguita.
Non venne creduto. Ma con quella lettera, e con il famoso sermone del venerdì 17 luglio 2009, si riguadagnò parecchie simpatie popolari e recuperò non poco capitale politico.
Ora, come dice un analista di un programma satellitare, il capitale politico va speso per tempo e in modo sensato, altrimenti si svaluta. Sembra che Rafsanjani, evitando di affrontare Khamenei a viso aperto (lui può farlo, anche istituzionalmente) stia spendendo male il suo capitale.
Sembra cioè che abbia visto per primo la rivoluzione che stava arrivando, ma che stranamente abbia smesso di crederci ritenendola ancora controllabile con manovrine di palazzo.
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