Film: il Dormiglione.
Miles (Woody Allen) e Luna (Diane Keaton) sono dei rivoltosi che stanno cercando di rubare il naso di un dittatore morto in un'esplosione, per evitare che il naso venga clonato per riportarlo in vita. Luna ha una mezza cotta per il capo della rivolta. Battuta di Miles: "tra sei mesi qualcuno starà cercando di rapire il suo, di naso!".
In qualche modo deve essere interrotto il circolo vizioso di rivoluzioni che iniziano con le migliori intenzioni e che, per paura della controrivoluzione e di nemici più o meno immaginari, diventano "merda buona solo per sbirri e burocrati", per usare le parole di una cara persona.
Uno dei modi per evitare che questo debba riaccadere e diventare motivo di futuro dolore è quello di dire la verità su un argomento importante. Va fatta una premessa: non mi illudo certo che qualcuno di veramente influente legga questo blog. Ma la verità è un dovere che prescinde dalla sua efficacia. Oggi perciò sfateremo alcuni miti fondanti di quella parte dell'identità nazionale persiana che sembra esistere solo in chiave antiaraba.
Lo faremo principalmente per amor patrio. I cittadini iraniani per il 35-40% non sono etnicamente né linguisticamente persiani. E' vero quel che dicono i ragazzi, "siamo un popolo, non una Umma", ma il riemergere di un grezzo sciovinismo pan-iranista non è la risposta giusta all'integralismo sciita. 25 milioni di turchi, kurdi, baluchi e arabi con passaporto iraniano non saranno tenuti insieme in un paese dominato solo dalla mitologia di Ciro il Grande, di Artaserse, di Zoroastro, di Kaveh il fabbro e di Rostam.
Se il prezzo di un Iran libero dai mullah fosse vedere Tabriz sotto Baku o Ankara? Ahvaz annesso a Kuwait City? Zabol annesso a Kabul? Quanta gente continuerebbe a mettersi il nastrino verde al polso? Ecco, evitiamo che debba sorgere il problema. Sarebbero persino da evitare le barzellette etniche se possibile. Perché se continuiamo a fare i persiani puri e duri anziché essere prima di tutto degli iraniani, il pericolo del dismembramento etnico può essere reale.
E' per questo che oggi abbatterò i tre più famosi miti da "ultrà persiano" che mi irritano di più: quello dell'Islam come religione imposta con la forza da un invasore, quello dello sciismo iraniano come reazione nazionale antiaraba, e quello del "ta'zyeh" - autoflagellazione - come incivile usanza islamica.
1) Mito dell'imposizione
Curioso. Sono nato in un paese dove persino i gatti vanno fieri del fatto che noi siamo così civili da aver fatto diventare persiani tutti gli invasori stranieri. Eppure le stesse persone, che pronunciano questa frase con la giusta fierezza, due volte su tre dicono anche che l'Islam ci è stato imposto dall'invasore arabo!
In altre parole noi siamo riusciti a far diventare persiani i macedoni, i mongoli di Changiz e quelli di Tamerlano. Però gli arabi ci hanno fatti diventare arabi. Curiosa contraddizione. Come è contraddittorio disprezzare l'unico popolo che ci è riuscito a imporre qualcosa di suo, non vi pare?
Ma, molto più semplicemente, non si trattò di un'imposizione. La religione non si impone: alla religione ci si converte. Magari per comodità, anzi spesso per comodità. Ma un'altra parola per dire "comodità" è "collaborazione" o "convenienza". Chi è stato invaso ha avuto un'opzione: poteva fare una vita scomoda e restare un "persiano puro" e continuare ad adorare Hormuz, invece scelse la vita più comoda e divenne musulmano.
Più precisamente - vorrei evitare di essere eccessivamente populista - in Persia andò così: i contadini persiani erano talmente maltrattati e detestavano talmente tanto la nobiltà che si convertirono in massa alla religione dell'invasore, vedendola come un'occasione di riscatto. La nobiltà, poi, per non perdere del tutto terra e privilegi, si convertì pure lei. Ecco tutto.
Riferimento bibliografico necessario: "Persia Religiosa" di Alessandro Bausani, forse tra i più importanti studiosi occidentali della Persia.
2) Una nazione sunnita...
La stessa fonte, Bausani, ci viene nuovamente in aiuto.
La Persia non diventa sciita subito. Cioè non ai tempi di Alì e Husain almeno, nonostante la corrente "ultrà" persiana ami sostenere questo (e vi riesce con un certo successo ingannando non pochi studiosi imparziali).
E' un dato di fatto che persino Ferdowsi, poeta fondatore del rinascimento nazionale persiano del periodo post-sialmico, è rigorosamente sunnita. Il famosissimo poeta persiano Khayyam poi si chiama "Omar", come il secondo califfo sunnita. Nessuno sciita chiamerebbe mai il figlio "Omar". Le correnti sufi nascono tutte sunnite... Insomma in Iran dello sciismo non v'è traccia apprezzabile fino a ben oltre le due invasioni mongole, nel quattrocento.
La persia diventa sciita perché il capostipite della dinastia safavide - di origini turche - è uno scieicco sciita (Sheikh Safi ed-din che ha una moschea dedicata nella città di Ardebil).
Quando la dinastia prenderà il potere, nel sedicesimo secolo cristiano, inizierà una profonda e radicale opera di sciitizzazione del paese: le scuole sunnite saranno via via sostituite da "hawza" sciite, con imam (in genere arabi) fatti venire appositamente da fuori.
L'Iran cioè diventerà sciita non per reazione all'invasore arabo sunnita, ma per la precisa scelta politica di una dinastia regnante almeno 5 secoli dopo la scomparsa del Mahdì. Il processo della graduale conversione durerà per almeno un secolo e sarà cosa fatta alla caduta della dinastia.
La scelta dello sciismo è legata alla volontà di trasformare città come Qom e Mashhad in importanti luoghi di pellegrinaggio, ma anche e soprattutto alla volontà di ottenere l'appoggio popolare in chiave anti ottomana a Kufa, Najaf e Kerbala dove la popolazione era sciita e l'amministrazione (ottomana) sunnita.
3) "Ya Husain"? o forse "Ya Siawush"?
I persiani puri e duri disprezzano l'usanza del "ta'zieh", le manifestazioni di autoflagellazione in occasione di Ashura (salvo poi magari riscoprirne l'utilità come momento di massa in chiave anti-regime... ma lasciamo stare).
La disprezzano perché sono convinti che si tratti di un'usanza "di importazione". Balle. Il "ta'zieh" è diffuso solo nelle regioni dell'altopiano iranico e nell'Iraq: cioè in regioni storicamente abitate dagli indoeuropei persiani, medi, parti, sogdiani, arii. Mentre non se ne vede traccia nei paesi arabi.
Questo articolo di Wikipedia in persiano (che purtroppo non ho tempo di tradurre) spiega sommariamente l'origine pre-islamica dell'usanza del "ta'zieh".
L'usanza dell'autoflagellazione trae origine da analoghe manifestazioni che affondano le radici nella lunga storia preislamica dell'altopiano iranico, in particolare nella commemorazione dell'antico eroe "Siawush" elevato poi al rango di divinità. La commemorazione esiste ancora oggi in alcune remote comunità e prende il nome di "siawoshan" o "suuwashun" ("suusia" tra i kurdi).
Il "ta'zieh" cioè non è altro che il "suuwashun". E' persiano quanto il Nowruz, tanto persiano che più persiano non si può! Una festa politeista talmente importante da essere rimasta viva poi sotto il monoteismo islamico. Non è un'usanza araba-islamica come non lo è la mutilazione dei genitali femminili nell'Africa sub-sahariana.
E' ora che questo popolo smetta di incolpare altri per le cose di se stesso che non gradisce. Così magari, con un po' di fortuna, nessuno sarà più costretto a rapire il naso del dittatore tra 30 anni.
Miles (Woody Allen) e Luna (Diane Keaton) sono dei rivoltosi che stanno cercando di rubare il naso di un dittatore morto in un'esplosione, per evitare che il naso venga clonato per riportarlo in vita. Luna ha una mezza cotta per il capo della rivolta. Battuta di Miles: "tra sei mesi qualcuno starà cercando di rapire il suo, di naso!".
In qualche modo deve essere interrotto il circolo vizioso di rivoluzioni che iniziano con le migliori intenzioni e che, per paura della controrivoluzione e di nemici più o meno immaginari, diventano "merda buona solo per sbirri e burocrati", per usare le parole di una cara persona.
Uno dei modi per evitare che questo debba riaccadere e diventare motivo di futuro dolore è quello di dire la verità su un argomento importante. Va fatta una premessa: non mi illudo certo che qualcuno di veramente influente legga questo blog. Ma la verità è un dovere che prescinde dalla sua efficacia. Oggi perciò sfateremo alcuni miti fondanti di quella parte dell'identità nazionale persiana che sembra esistere solo in chiave antiaraba.
Lo faremo principalmente per amor patrio. I cittadini iraniani per il 35-40% non sono etnicamente né linguisticamente persiani. E' vero quel che dicono i ragazzi, "siamo un popolo, non una Umma", ma il riemergere di un grezzo sciovinismo pan-iranista non è la risposta giusta all'integralismo sciita. 25 milioni di turchi, kurdi, baluchi e arabi con passaporto iraniano non saranno tenuti insieme in un paese dominato solo dalla mitologia di Ciro il Grande, di Artaserse, di Zoroastro, di Kaveh il fabbro e di Rostam.
Se il prezzo di un Iran libero dai mullah fosse vedere Tabriz sotto Baku o Ankara? Ahvaz annesso a Kuwait City? Zabol annesso a Kabul? Quanta gente continuerebbe a mettersi il nastrino verde al polso? Ecco, evitiamo che debba sorgere il problema. Sarebbero persino da evitare le barzellette etniche se possibile. Perché se continuiamo a fare i persiani puri e duri anziché essere prima di tutto degli iraniani, il pericolo del dismembramento etnico può essere reale.
E' per questo che oggi abbatterò i tre più famosi miti da "ultrà persiano" che mi irritano di più: quello dell'Islam come religione imposta con la forza da un invasore, quello dello sciismo iraniano come reazione nazionale antiaraba, e quello del "ta'zyeh" - autoflagellazione - come incivile usanza islamica.
1) Mito dell'imposizione
Curioso. Sono nato in un paese dove persino i gatti vanno fieri del fatto che noi siamo così civili da aver fatto diventare persiani tutti gli invasori stranieri. Eppure le stesse persone, che pronunciano questa frase con la giusta fierezza, due volte su tre dicono anche che l'Islam ci è stato imposto dall'invasore arabo!
In altre parole noi siamo riusciti a far diventare persiani i macedoni, i mongoli di Changiz e quelli di Tamerlano. Però gli arabi ci hanno fatti diventare arabi. Curiosa contraddizione. Come è contraddittorio disprezzare l'unico popolo che ci è riuscito a imporre qualcosa di suo, non vi pare?
Ma, molto più semplicemente, non si trattò di un'imposizione. La religione non si impone: alla religione ci si converte. Magari per comodità, anzi spesso per comodità. Ma un'altra parola per dire "comodità" è "collaborazione" o "convenienza". Chi è stato invaso ha avuto un'opzione: poteva fare una vita scomoda e restare un "persiano puro" e continuare ad adorare Hormuz, invece scelse la vita più comoda e divenne musulmano.
Più precisamente - vorrei evitare di essere eccessivamente populista - in Persia andò così: i contadini persiani erano talmente maltrattati e detestavano talmente tanto la nobiltà che si convertirono in massa alla religione dell'invasore, vedendola come un'occasione di riscatto. La nobiltà, poi, per non perdere del tutto terra e privilegi, si convertì pure lei. Ecco tutto.
Riferimento bibliografico necessario: "Persia Religiosa" di Alessandro Bausani, forse tra i più importanti studiosi occidentali della Persia.
2) Una nazione sunnita...
La stessa fonte, Bausani, ci viene nuovamente in aiuto.
La Persia non diventa sciita subito. Cioè non ai tempi di Alì e Husain almeno, nonostante la corrente "ultrà" persiana ami sostenere questo (e vi riesce con un certo successo ingannando non pochi studiosi imparziali).
E' un dato di fatto che persino Ferdowsi, poeta fondatore del rinascimento nazionale persiano del periodo post-sialmico, è rigorosamente sunnita. Il famosissimo poeta persiano Khayyam poi si chiama "Omar", come il secondo califfo sunnita. Nessuno sciita chiamerebbe mai il figlio "Omar". Le correnti sufi nascono tutte sunnite... Insomma in Iran dello sciismo non v'è traccia apprezzabile fino a ben oltre le due invasioni mongole, nel quattrocento.
La persia diventa sciita perché il capostipite della dinastia safavide - di origini turche - è uno scieicco sciita (Sheikh Safi ed-din che ha una moschea dedicata nella città di Ardebil).
Quando la dinastia prenderà il potere, nel sedicesimo secolo cristiano, inizierà una profonda e radicale opera di sciitizzazione del paese: le scuole sunnite saranno via via sostituite da "hawza" sciite, con imam (in genere arabi) fatti venire appositamente da fuori.
L'Iran cioè diventerà sciita non per reazione all'invasore arabo sunnita, ma per la precisa scelta politica di una dinastia regnante almeno 5 secoli dopo la scomparsa del Mahdì. Il processo della graduale conversione durerà per almeno un secolo e sarà cosa fatta alla caduta della dinastia.
La scelta dello sciismo è legata alla volontà di trasformare città come Qom e Mashhad in importanti luoghi di pellegrinaggio, ma anche e soprattutto alla volontà di ottenere l'appoggio popolare in chiave anti ottomana a Kufa, Najaf e Kerbala dove la popolazione era sciita e l'amministrazione (ottomana) sunnita.
3) "Ya Husain"? o forse "Ya Siawush"?
I persiani puri e duri disprezzano l'usanza del "ta'zieh", le manifestazioni di autoflagellazione in occasione di Ashura (salvo poi magari riscoprirne l'utilità come momento di massa in chiave anti-regime... ma lasciamo stare).
La disprezzano perché sono convinti che si tratti di un'usanza "di importazione". Balle. Il "ta'zieh" è diffuso solo nelle regioni dell'altopiano iranico e nell'Iraq: cioè in regioni storicamente abitate dagli indoeuropei persiani, medi, parti, sogdiani, arii. Mentre non se ne vede traccia nei paesi arabi.
Questo articolo di Wikipedia in persiano (che purtroppo non ho tempo di tradurre) spiega sommariamente l'origine pre-islamica dell'usanza del "ta'zieh".
L'usanza dell'autoflagellazione trae origine da analoghe manifestazioni che affondano le radici nella lunga storia preislamica dell'altopiano iranico, in particolare nella commemorazione dell'antico eroe "Siawush" elevato poi al rango di divinità. La commemorazione esiste ancora oggi in alcune remote comunità e prende il nome di "siawoshan" o "suuwashun" ("suusia" tra i kurdi).
Il "ta'zieh" cioè non è altro che il "suuwashun". E' persiano quanto il Nowruz, tanto persiano che più persiano non si può! Una festa politeista talmente importante da essere rimasta viva poi sotto il monoteismo islamico. Non è un'usanza araba-islamica come non lo è la mutilazione dei genitali femminili nell'Africa sub-sahariana.
E' ora che questo popolo smetta di incolpare altri per le cose di se stesso che non gradisce. Così magari, con un po' di fortuna, nessuno sarà più costretto a rapire il naso del dittatore tra 30 anni.
"Più precisamente - vorrei evitare di essere eccessivamente populista - in Persia andò così: i contadini persiani erano talmente maltrattati e detestavano talmente tanto la nobiltà che si convertirono in massa alla religione dell'invasore, vedendola come un'occasione di riscatto. La nobiltà, poi, per non perdere del tutto terra e privilegi, si convertì pure lei. Ecco tutto."
RispondiEliminaMa fu così anche in Italia quando si impose il fascismo, no? In un mondo ancora feudale in cui i signorotti locali opprimevano le masse (allora quasi unicamente di contadini) e non aveva alcuna comprensione, né desiderio di comprendere il popolo, arrivò il giovane Mussolini. Che al contrario seppe "imbrigliare" l'energia di quel popolo disprezzato e mal capito dai baroni locali. Adoro il film "1900" di Bertolucci, però dissento dalla sua tesi che il fascismo fu abbracciato quasi unicamente dai signori e i proprietari terrieri. Culturalmente parlando, per avere una reale presa su un paese si deve partire dal basso. Così l'Islam, immagino, seppe anche lui "imbrigliare" l'energia dei contadini persiani e appunto riscattarli da una nobiltà che aveva perso ogni capacità di comprenderla o offrirle qualcosa in cambio del suo duro lavoro. Non che io stia facendo paralleli fra fascismo e Islam - semplicemente, vedo un punto di contatto fra il desiderio di riscatto dei contadini italiani e quelli persiani, frustrati dall'oppressione dei propri signori, decaduti e decadenti.
Novecento! Ogni volta che qualcuno ne parla mi sento in colpa perché è una delle lacune che devo assolutamente colmare.
RispondiEliminaOvviamente la diffusione dell'Islam in Iran impiegò qualcosa come 4 secoli, trattandosi di una religione e non di un'organizzazione partitica. E poi quando si parla di diffusione dell'Islam in Iran bisogna capire bene cosa si intende quando si parla di "Iran". Ad esempio l'oriente dell'impero persiano arrivava fino all'Indo a est e quasi al lago di Aral a nord Est.
Un giorno mi documenterò e posterò qualcosa sulla precisa tempistica. A occhio comunque l'ultima regione a diventare musulmana fu quella in cui io vissi la mia infanzia: il Gilan e il Mazandaran. Costa meridionale del mar Caspio, difesa alle spalle dall'alta catena montuiosa dell'Alborz. Lì, intorno al 14esimo secolo, cioè sette secoli dopo l'invasione araba, l'Islam era ancora minoritario.