Come promesso, traduco il secondo articolo firmato da Rashid Esmaili. Rashid è un ex studente dell'università Allameh Tabatabaei di Teheran, attivista dei diritti umani e della difesa delle minoranze etniche. A causa del suo impegno politico venne espulso dall'università nel 2007, insomma si tratta di una delle figure storiche della contestazione. Le sue analisi sono pubblicate su numerose riviste online vicine al movimento.
Il movimento studentesco e la tragica ignoranza dell'autorità
Nei quattro anni passati l'università è stata la principale trincea della lotta contro il neofascismo islamico ed il suo principale simbolo, Ahmadinejad. La coraggiosa azione degli studenti della Amir Kabir, messa in atto durante un suo discorso [1], segnò l'inizio ufficiale di alcuni anni di dura lotta. Dopo quell'episodio ed il conseguente arresto di un gruppo di studenti e attivisti della Amir Kabir, la maggior parte delle università del paese divennero teatro di assembramenti e scioperi contro i provvedimenti del governo Ahmadinejad.
Non è un'esagerazione dire che le iniziative degli studenti, appartenenti ai più disparati indirizzi politici, ebbero un ruolo principale nello smascherare il volto fascista e autoritario del governo Ahmadinejad. Certamente gli studenti pagarono un costo molto alto: vennero sospesi, espulsi, imprigionati, torturati. In quel periodo i gruppi riformisti avevano ancora una posizione moderata e ottimista nei confronti della Repubblica Islamica. Oggi purtroppo la maggior parte degli uomini politici più in vista di quell'area si trova nelle carceri del regime, ma allora non difesero in alcun modo gli studenti, e definirono "errori" le nostre iniziative (...).
Oggi sia noi che loro sappiamo bene che quelle azioni non erano sbagliate. Sappiamo che se non vi fosse stata la resistenza dei movimenti, forse la natura intimamente fascista del regime di Ahmadinejad non si sarebbe mai rivelata all'opinione pubblica mondiale. Per quanto, va detto, il regime ormai si smaschera benissimo da solo con le proprie politiche.
Sono passati 4 anni e, nonostante tutte le pressioni e restrizioni, furono anni importanti e fecondi per il movimento studentesco. Il pensiero politico e la prassi organizzativa, nelle università, si sono mossi verso una direzione sempre più pluralista. Si sono formati gruppi delle più diverse ispirazioni ideologiche e, nonostante vi siano state anche tensioni, hanno imparato a coesistere.
L'iniziale atteggiamento intollerante ha via via lasciato il posto ad una rivalità serena e argomentata. Liberali, marxisti, religiosi modernisti, nazional-religiosi, sostenitori del riformismo ufficiale, nazionalisti laici, hanno tutti partecipato attivamente alle proteste degli ultimi 4 anni facendo la propria parte. In quest'atmostera pluralista, l'Ufficio per il Consolidamento dell'Unità rappresenta l'organizzazione unitaria più importante. Essa, negli ultimi due decenni, ha subito una metamorfosi sorprendente, fino a diventare il principale veicolo delle istanze favorevoli alla democrazia e ai diritti umani nelle università.
Oggi, a più di tre mesi dal golpe del 12 giugno, fin dall'inizio dell'anno accademico le università sono sono già diventate dei focolai di protesta. Ma rispetto al passato ci sono due importanti novità.
Primo: tutte le organizzazioni politiche sono alleate nell'affrontare il pericolo di un'affermazione del fascismo islamico. Esse hanno individuato chiaramente sia il nemico comune, sia gli obiettivi. Gli studenti sanno che nella loro lotta contro "i nemici dell'università e della libertà" hanno assoluto bisogno di unità e di reciproca legittimazione. Fortunatamente questa strada è stata imboccata correttamente fin dall'inizio di quest'anno accademico.
La seconda novità, che a mio parere diventerà la caratteristica principale di questa stagione di lotta, consiste nella diffusione della protesta verso quelle fasce di studenti che in passato, e in circostanze normali, erano totalmente apolitici (...). Oggi, se anche gli studenti storicamente attivi nelle lotte se ne stessero in disparte, gli altri compagni sono in grado di continuare da soli. E' certamente grazie alle fatiche di tutti coloro che hanno lottato e pagato negli ultimi 4 anni che, finalmente, il movimento può ora davvero chiamarsi "movimento".
Il regime ha iniziato il nuovo anno accademico con la strategia della repressione. Pesanti condanne alla reclusione comminate agli studenti di sinistra, sentenze di sospensione ed esclusione dagli studi ai danni degli studenti politicamente attivi in tutte le università del paese, e l'ultima iniziativa di arrestare un 17 studenti membri dell'Ufficio per il Consolidamento dell'Unità [2] durante una riunione informale, sono solo alcuni esempi.
Tuttavia queste iniziative si basano su un'errata interpretazione della realtà. Le forze di polizia credono di poter controllare e disinnescare le proteste arrestando gli attivisti più visibili, ignorando il fatto che ormai il movimento si organizza da sè, si guida da sé, ed ha in se stesso il principale mezzo di informazione e di propaganda (...). L'arresto degli attivisti nelle università non porterà alcun beneficio al regime, esattamente come l'arresto dei politici in vista non ha reso più controllabile la società fuori dalle università. Anzi, ha ottenuto l'effetto contrario.
Chi si oppone al regime non sono alcuni partiti: la controparte è il popolo. Così accade anche nelle università. Gli avversari del governo golpista non sono gli studenti liberali, i marxisti, o l'Ufficio per il Consolidamento dell'Unità, ma pressoché la totalità degli studenti. La domanda è: i responsabili delle forze di polizia ignorano forse quanto appena detto?
La situazione reale certamente non sfugge agli esperti del ministero dell'Informazione, e una corretta analisi può certamente essere comunicata verso l'alto. Ma il problema sta in quel "alto". Ovvero sono i responsabili politici ad essere diventati ciechi e sordi. Disinteressati verso la condizione reale della società, essi sostituiscono il personale esperto dei vari ministeri con ruffiani e accondiscendenti. E' lo stesso tipo di sordità e cecità che colpì lo Shah durante gli ultimi anni della monarchia.
Da una parte forse dobbiamo essere contenti di tutto questo. Certo se fossero stati capaci di ragionare e comprendere chiaramente la situazione sarebbe stato meglio per tutti (...).
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