martedì 21 settembre 2010

Una parola imbrogliona

Quali sono le libertà che vanno difese? Il discorso in realtà è antico e mi costringe ad una replica motivata.

"Libertà è una parola imbrogliona" diceva qualcuno. Uno potrebbe anche sostenere che un industriale è "libero" chiudere gli stabilimenti nel suo paese e di esportare capitali all’estero per minimizzare pressione fiscale e costo del lavoro. Oppure si può sostenere che uno speculatore è "libero" di fare esclusivamente il proprio interesse fino a far saltare per aria il sistema finanziario mondiale.

Molti economisti, politici e ideologi hanno sostenuto con forza queste "libertà" e hanno fatto di tutto (e continuano a fare di tutto) per impedire qualunque regolamentazione. Poi è ovvio che gli ex-dipendenti dello stabilimento non la prendano così con filosofia, e così pure non la prendono bene quelli i cui risparmi sono diventati carta straccia. Succede cioè che costoro, i danneggiati, non approvano più quella "libertà", benché la parola sia tanto bella da riempire la bocca.

Ma è ancora più interessante analizzare la reazione di quegli ex dipendenti dell’impresa delocalizzata. Reagiscono forse sempre con proteste, scioperi, mobilitazioni, picchetti, volantinaggi? No. A volte – i paesi poveri ne sono un esempio – non sono neanche in grado di comprendere la ragione della loro disgrazia. Anzi spesso ritengono del tutto naturale che il boiardo di turno li sfrutti fino all’osso: "si è sempre fatto così". Quindi in quei casi l’unica reazione del danneggiato è quella di mettersi a piangere. L'unica libertà che gli rimane è chiedere l'elemosina.

E' giusto difendere la “libertà di sfruttare” solo perché lo sfruttato non ha coscienza di classe e dunque non si agita vistosamente? E il fatto che non ha coscienza di classe, non dipende forse proprio dal fatto che viene sfruttato (ad esempio è analfabeta e lo stato non spende in istruzione pubblica per non tassare lo sfruttatore)?

Il velo islamico è un oggetto con una finalità precisa. Esso viene imposto ad una classe (l’universo femminile) per dimostrare che esiste un rapporto di dominio dell’uomo sulla donna. E’ l’equivalente della marchiatura del bestiame. Implica che tu donna devi essere casta e pura, io no. Implica che tu donna devi stare in basso e io in alto. Perché così ha detto il mio amico invisibile.

Il fatto che la classe sfruttata non abbia sufficiente coscienza per ribellarsi all’imposizione non cambia la natura del rapporto di sfruttamento. Dopodiché possiamo decidere che non è possibile intervenire, e ci sta anche come discorso. Non di meno pretendo che lo sfruttamento sia chiamato "sfruttamento", e non "libertà". Perché è qui il nocciolo della questione.

2 commenti:

  1. Non cambia la sostanza della questione: siamo tutti manipolati, liberiamo tutti e nelle questioni più "gravi" (qualche migliaio di burqa nel mondo non mi sembrano una urgenza) o ci attacchiamo solo al velo?

    Inoltre, nell'esempio che hai portato esiste una lieve ma sostanziale differenza:
    Industrie e aziende dovrebbero rispondere ad una responsabilità sociale.
    Mi spiego meglio: se sfrutto il lavoratore, tolgo tangibilmente cibo e possibilità di vita alle persone. Non si può mandare a scatafascio un intero equilibrio sociale per l'avidità di singole persone, se ti si da la possibilità di operare nel mercato, devi rispettare tutto e tutti, pena gravi conseguenze. Licenziamenti e risparmi che diventano carta straccia sono beni tangibili ed hanno un effetto immediato, sul quale nessuno può fare filosofia: se non mangio crepo, ma prima di crepare spacco tutto.

    Nel caso del burqa non esiste un reale danno tangibile, nella misura in cui la persona è manipolata e lo "accetta". Certo l'ignoranza è una brutta bestia, ma ripeto, questo non vale per tutti?

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  2. Vero che vale per tutti, anche se non è una giustificazione. Nel post mi premeva principalmente sottolineare come il concetto di libertà non abbia nulla di sacro. Che piuttosto ci si debba di volta in volta chiedere libertà per chi, e di fare cosa.

    Il contatto tra i popoli ha sempre un potenziale rivoluzionario e contemporaneamente è foriero di tragedie individuali. Il mio discorso è rivolto a chi - da sinistra - ritiene un "bene" che i paesi extraeuropei difendano ad oltranza le loro tradizioni, finendo per giustificarle come fossero espressione di libertà personale e non un insieme di imposizioni illiberali. La difesa del "libero burqa" parte da questo tipo di posizione.

    Ora il punto è questo. L'Iran nell'ottocento si è di colpo trovato sotto l'aggressione imperialista dei russi e degli inglesi. Non c'è nulla che un iraniano detesti più della parola "imperialismo". Il paese allora non sapeva come rispondere a questa minaccia, le sue strutture sociali erano inadatte a sopravvivere di fronte a essa. I monarchi erano corrotti, e il popolo una massa amorfa.

    Tutto ciò fu causa di vere e proprie tragedie: povertà, tradizioni che vacillavano, senso di impotenza. Ma senza quello scontro le classi colte non avrebbero conosciuto la modernità, non avrebbero conosciuto la storia della rivoluzione francese. Nasce così una borghesia cittadina, e nel 1906 arriva una rivoluzione che ottiene la carta costituzionale sulla base degli stessi principi. Come la mettiamo?

    La parola "sono affari interni" non ha alcun senso, perché nella natura e nelle relazioni umane non esiste un "affare interno": tutto ciò che siamo lo siamo in virtù della nostra storia, che è anche frutto degli scontri e delle sconfitte delle nostre tradizioni.

    La legge francese in questo senso ha oggettivamente un "potenziale rivoluzionario", esattamente come l'imperialismo britannico in Iran.

    L'imperialismo britannico metteva la borghesia iraniana contro la nobiltà in una società che era ferma e morta come la superficie di una palude. La legge francese mette la figlia contro il padre e la moglie contro il marito in un tipo di famiglia nella quale non c'è dialogo ma gerarchia.

    Questo è un "bene storico" al di là della volontà del padre, della figlia e della moglie. E anche degli stessi parlamentari, che hanno approvato quella legge non certo per ragionamenti del genere ma per semplice disciplina di partito, per islamofobia, e in modo del tutto arbitrario.

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