giovedì 29 luglio 2010

L'età dell'informazione e la destrutturazione aziendale



Domenica parto per le vacanze, starò via 15 giorni. Non so se avrò tempo di scrivere ancora qualcosa nel frattempo perciò vi lascio con un post lungo e impegnativo.

A dire il vero sto barando. Feci questo stesso post il 17 agosto del 2008 su un newsgroup, ne seguì un'interessante discussione che qui ometto, ma che vi invito a recuperare su google groups.

Insomma oggi non si parla dell'Iran. Credo di essere l'unico capace di fare un offtopic sul suo stesso blog! Ciao a tutti.


***

A) Di cosa si parlerà in questo post (e di cosa non si parlerà):

Si è spesso parlato di internet su questo NG al punto da considerarlo un topic ricorrente.

In generale le discussioni sull'argomento si sono incentrate sui "pros & cons" di internet come mezzo di comunicazione e di informazione. Un aspetto importante ma anche noioso, perché con lo sguardo rivolto verso la schiena. Un'ottica di retroguardia insomma, che non esaurisce affatto la questione.

Si rischia oltretutto di impantanarsi in un "contenutismo" per nulla utile a un'analisi corretta della reale portata del medium internet. Dire infatti che un medium può essere buono o cattivo a seconda di come lo si usa o di ciò che se ne fa, citando McLuhan, equivale a dire che una pistola funziona meglio o peggio a seconda di chi stai cercando di ammazzare: è una sciocchezza.

Ho notato che, quando si parla di internet esclusivamente come mezzo di espressione e di informazione, alla fine si finisce lì, per quanto involontariamente. Questo post invece cercherà di analizzare internet come fattore produttivo nell'industria e nei servizi. Obiettivo ambizioso, ma tutto sommato è meglio sbagliare perché si è ecceduto.

B) Alcuni riferimenti bibliografici:

Per certi versi si macchia di "contenutismo" anche il libro di Carlo Formenti "Cybersoviet", che ho letto durante le vacanze. Lì però la cosa è tollerabile, in quanto il testo non ha l'obiettivo di esporre una "teoria generale dei media elettrici" (come definiti da McLuhan: tutti quei media che usano l'elettricità come vettore, e caratterizzati dal fatto che "il messaggio è più veloce del messaggero").

Piuttosto Cybersoviet ha l'indubbia qualità di spingerti ad ulteriori approfondimenti. Personalmente ad esempio un testo che andrò sicuramente a recuparare sarà "L'età dell'informazione" di Manuel Castells. Un altro testo, ma qui Formenti è innocente, sarà - sperando di trovarlo - "La città nella storia" di Lewis Mumford (a fine post sarà più chiaro il nesso).

C) Internet come mezzo di produzione:

Andando al punto, ritengo che parlare di internet come acceleratore di un sistema produttivo post-fordista abbia maggiori possibilità di evitare il rischio di decadere nel contenutismo. Difatti si tenterebbe di analizzare uno strumento di organizzazione produttiva in modo oggettivo, cioè economico, e non come una cosa attraverso la quale astrattamente "si può fare del bene o del male", a seconda se lo usa Hitler o Gandhi. Con buona pace per la stupida pubblicità della telecom.

Ovviamente la locuzione "elemento di un sistema produttivo post-fordista" è volutamente generico: con questo voglio chiarire che non ho nessuna intenzione di parlare di e-business (la cui importanza nel complesso a tutt'oggi resta marginale) ma dell'uso di internet proprio nelle produzioni "tradizionali".

Ma dato che, ahimé, non ho ancora letto Castells (che a quanto pare è fondamentale in questo tipo di analisi), mi tocca procedere con il metodo induttivo: generalizzando cioè la mia esperienza lavorativa personale sperando di azzeccarci. Il lato positivo della questione è che il mio è un osservatorio abbastanza privilegiato, dato che mi occupo di software per gestione aziendale in uso presso una molteplicità di aziende in settori diversi.

D) Metodo induttivo, ovvero il mio mestiere:

Una parte del mio lavoro consiste nella progettazione e rilascio delle modifiche, migliorie ed aggiornamenti da apportare al software gestionale che l'azienda in cui lavoro produce.

Facciamo una riunione, io dico a un programmatore cosa serve al cliente, lui scrive il codice, io testo il risultato, e se tutto va bene distribuiamo (l'ho fatta facile, ma chi conosce il lavoro sa che si tratta di una cosa parecchio dolorosa: mai presentarsi disarmati e senza il giubbotto antiproiettile a una riunione con un commerciale, un analista e un programmatore).

Oltre a questo mi occupo della formazione dei clienti all'uso del gestionale, e di assistenza in caso sorgessero problemi e anomalie. In teoria la mia opera di assistenza e formazione consisterebbe solo nell'aiutare un utente, che dovrebbe già conoscere il suo lavoro, a farlo col nostro programma. In genere si tratta di commercialisti, consulenti del lavoro, ragionieri aziendali, responsabili del magazzino, responsabili della produzione, responsabili del personale, responsabili commerciali, etc.

Nella pratica invece mi tocca quasi sempre insegnare all'utente anche il suo lavoro, che spesso conosco meglio di lui per motivi sui quali non sto a divagare ma che sono intuibili.

E) Potrei anche starmene a casa:

Con l'evoluzione raggiunta dai "media elettrici", già oggi nessuna delle mansioni che svolgo richiederebbe la mia presenza fisica in un ufficio in certi orari, e nemmeno sul luogo dove dovrebbe svolgersi il servizio stesso, cioè dal cliente.

Le comunicazioni coi colleghi programmatori potrebbero avvenire via videoconferenza, o banalmente per telefono, e per le testature è sufficiente che il collega programmatore mi mandi l'eseguibile del programma per posta elettronica.

Oltre metà dei nostri clienti risiede in luoghi non raggiungibili entro la giornata, il che significa che la vicinanza geografica con il luogo in cui si eroga il servizio è già ora irrilevante. Insomma tutta questa gente è servita da remoto.

Solo nel corso del 2008 ho fatto formazione a 3 clienti residenti molto lontano dalla nostra sede aziendale, e l'ho fatto senza muovermi dall'ufficio: ho preso possesso del loro mouse e della loro tastiera via internet usando programmi open source (UltraVNC) oppure usando siti internet gratuiti appositamente creati per questi servizi (Logmein per esempio, che su desktop Windows Vista sembra funzionare meglio di UltraVNC). Per i super-profani: io muovo il mouse stando seduto nella mia postazione in ufficio, ma lavoro sul PC de cliente e non sul mio.

Lo stesso dicasi per l'assistenza: la signora Marisa chiama, io prendo possesso del suo PC da remoto, al telefono faccio due battute simpatiche per mantenere vivo il lato umano mentre risolvo il problema, e poi si fattura.

Oramai lo facciamo per tutta l'utenza, anche per chi si trova a due isolati. Lo stesso per gli aggiornamenti normativi: un tempo ci recavamo fisicamente presso gli utenti con il CD dell'aggiornamento da installare (anzi, coi floppy: l'azienda ha 22 anni). Oggi invece mando un email a tappeto a tutti quelli in regola coi pagamenti dicendo di lanciare la procedura di Live Update prevista nel gestionale. Il resto lo fa il programma.

F) Anche gli altri colleghi potrebbero restarsene a casa:

Riassumendo: la mia azienda ha 15 dipendenti, e non esiste alcuna ragione di efficienza economica perché queste 15 persone debbano lavorare sotto lo stesso tetto per otto ore al giorno e inquadrati con un contratto nazionale metalmeccanici. Per nessuna delle mansioni da loro svolte.

Ciascun collega potrebbe lavorare da casa propria semplicemente comunicando con gli altri attraverso l'uso del PC, telefono, mail e quant'altro, e ciò potrebbe accadere già oggi nel senso che non sto parlando i fantascienza o scenari futuri.

Ogni collega potrebbe operare sull'oggetto del servizio che gli compete da remoto: utilizzando le competenze immagazzinate nel suo sistema nervoso centrale che viene "esteso" dai media elettrici in modo da poter teoricamente abbracciare l'intero pianeta (immagine azzeccatissima questa di McLuhan).

G) Un sacco di altra gente potrebbe restarsene a casa:

Questa possibilità di "destrutturare" l'azienda non è solo una carattersitica del mio settore. Come dicevo il mio è un osservatorio abbastanza privilegiato il che mi fa riconoscere questa tendenza anche in altri settori.

I commercialisti ad esempio (soprattutto quelli "erranti" che si recavano presso il cliente per registrargli la contabilità) desiderano avere questa possibilità da molto tempo. Oggi ce l'hanno, e per un gestionale dare la possibilità di lavorare senza muoversi è un plus assoluto.

In generale tutti i settori economici che vanno sotto la definizione di "servizi" sono nelle stesse condizioni, con poche eccezioni. I servizi di trasporto ad esempio sono un'eccezione, ma solo per quanto riguarda le unità mobili, le quali fra l'altro subiscono la fortissima concorrenza del medium elettrico: se uso internet non mi muovo fisicamente.

Il reparto amministrativo poi è sempre destrutturabile. Nell'industria, ad esempio, il lavoro materiale viene svolto necessariamente in strutture adibite a questo: officine, laboratori, etc. Ma diversi miei clienti hanno gli uffici amministrativi lontanissimi dal luogo di produzione e dai magazzini, qualcuno persino in altri paesi.

Un ragioniere in qualunque parte del mondo, e un certo numero di computer messi in rete e attrezzati con lettori di codice a barre, sono oggi in grado di gestire una tale movimentazione di merci e di denaro che molti fanno ancora fatica a concepire pienamente.

Anche nel tessuto delle piccole imprese, quelle con una o due addette amministrative (inutile negare la preponderante presenza femminile) si sente fortissima l'esigenza di "far lavorare la signorina da casa". Vuoi per una sopravvenuta maternità, vuoi perché i figli crescono e serve il part time.

E così Abolrish installa (quasi sempre da remoto) sul PC domestico della signora un client del programma di contabilità, lo punta all'indirizzo internet del PC dell'azienda attraverso una certa porta, e la signora registra la contabilità ed emette le fatture senza mai andare in ufficio. Per mesi.

H) Un po' di fantascienza non guasta:

Il prossimo passo probabile, anche se embrionale? Un accordo tra vari produttori di gestionali per creare un tracciato per l'emissione di fatture al quale riferirsi tutti quanti.

In questo modo diventa superflua l'emissione cartacea di fatture e il loro invio (sebbene l'invio già avvenga molto spesso via mail in formato PDF). Ma con un tracciato unico si ottiene qualcosa di meglio.

Chi emette la fattura (o qualunque documento di valenza contabile e aziendale) lo fa su un tracciato che può essere direttamente importato nell'archivio del gestionale di chi riceve, e potrebbe anche essere automaticamente registrato in contabilità. Questo sistema è già adottato ad esempio da alcuni supermercati che richiedono che il fornitore emetta la fattura su un tracciato che loro possono importare.

L'archiviazione ottica permette di dematerializzare anche l'archivio fisico, ed è una precisa tendenza del legislatore fiscale italiano. Si parla di un risparmio immenso.

I) I vantaggi in termini produttivi:

Zero movimentazione cartacea, zero movimentazione umana, luogo di lavoro completamente destrutturato e coincidente con l'abitazione del singolo addetto. L'aumento dell'efficienza produttiva legata a una destrutturazione di questo tipo è evidente. I primi risparmi che vengono in mente:

1) Azzeramento dei costi di struttura: non serve un ufficio.

2) Azzeramento dei costi impianto: ad esempio non serve una LAN, perché la rete esiste già esternalizzata ed è internet.

3) Minore costo del personale: la figura di "sistemista aziendale" che si occupa del corretto funzionamento in rete di 15-20 computer verrebbe a trasformarsi al più in un mero amministratore di server.

4) Azzeramento dei costi di trasferimento per recarsi sul luogo dell'intervento o in generale per recarsi in ufficio, con un conseguente abbattimento dei consumi di carburante per locomozione legata al lavoro: argomento sul quale chissà perché siamo di colpo diventati tutti sensibili. E ovviamente per "costi" non intendo solo quelli diretti ma anche quelli legati alle cosiddette "diseconomie sociali": inquinamento, riscaldamento globale, eccetera.

Mi fermo qui perché non ho tempo per scrivere una tesi di laurea. Ma tutto sommato il passaggio da un sistema produttivo fordista ad un sistema produttivo post-fordista di questo tipo ricorda un po' la maggiore efficienza del lavoro salariato rispetto a quello schiavista.

J) E perché non lo fanno tutti?

Perché l'azienda dove lavoro continua ad essere strutturata così com'è, cioè con un ufficio e degli orari di lavoro? Due ipotesi.

Una prima risposta potrebbe essere la necessità di un controllo sul lavoro svolto dagli addetti da parte della proprietà.

Se così fosse, il problema del passaggio ad una produzione di questo tipo potrebbe essere strutturale: il proprietario non tollererebbe l'idea di perdere la sua proprietà, intellettuale o fisica che sia. E così ci riunisce tutti sotto lo stesso tetto per tenere meglio sotto chiave i segreti aziendali. Giusto? Direi di no...

Non nego che l'obiezione possa avere una sua validità, tuttavia la trovo poco rilevante: il controllo sul prodotto finale non ha bisogno del controllo dello spazio fisico in cui il "lavoratore di intelletto" opera.

Per dire: già oggi da me ogni singolo programmatore ha pieno accesso alla documentazione e alle sorgenti del software che produciamo. Io e altri dell'assistenza poi conosciamo i numeri di cellulare, i responsabili, le condizioni commerciali, il fatturato e persino i nomi dei figli e dei gatti di ogni singolo cliente che assistiamo. Il giorno che decido di fregare la mia azienda sarei un concorrente spaventoso.

Dov'è allora il ferreo controllo aziendale? Evidentemente non è ferreo, ma si basa sulla complicità: faccio un lavoro sufficientemente ben pagato, che mi diverte, che non mi stressa e non mi aliena. Finché sto bene chi me lo fa fare di rischiare e buttare all'aria tutto?

Io sto giocando, e sono pagato per farlo. Formenti parla del "rovesciamento dell'etica calvinista del lavoro": il lavoro non più inteso come dovere e sofferenza, ma come piacere e gioco. Si avvicina molto a quello che sto facendo.

Poi c'è la questione del controllo dei tempi di lavoro, di fondamentale importanza nel taylorismo e nel fordismo, ma che nella produzione post-fordista dovrebbe essere lasciato al molto più efficiente autocontrollo del lavoratore stesso, reso opportunamente "autonomo". La produzione non ne soffrirebbe: allo stesso modo e nella stessa misura il passaggio dallo schiavismo al lavoro salariato non ha abbassato la produzione agricola.

Seconda ipotesi. La risposta giusta al perché la mia azienda non è ancora destrutturata, a mio parere, è solo da cercarsi in fattori contingenti dovuti alla compresenza dei due tipi di produzione (fordista e post-fordista).

In questo momento la nostra legislazione del lavoro e del diritto societario è ereditata da ciò che serviva ad una produzione fordista, che soddisfaceva insomma le esigenze sociali ed economiche di una nazione che si guadagnava il pane lavorando in fabbrica e alla catena di montaggio.

Per essere più chiari: come fa la mia azienda a destrutturarsi nel quadro legislativo presente, e restare ancora "azienda"? Per esempio, poniamo che 15 persone lavorino da casa e che non si vedano mai di persona. Come si denuncia questo fatto all'INAIL? Quali e quante sono le "unità locali" - ai fini fiscali - di un'azienda così (de)strutturata? E - cosa ancora più radicale - ha senso parlare ancora di "azienda" nel senso che conosciamo, o siamo di fronte ad una nuova entità produttiva alla quale dare un nome?

Per non parlare poi del cliente. Come la prende lui, abituato ad aver a che fare con una struttura aziendale classica con tanto di segretaria e pianta di ficus, quando si trova di fronte un'entità eterea di questo tipo?

K) Metamorfosi dell'azienda in qualcos'altro:

Ma a questo punto la vera domanda è: per quanto tempo un'azienda rinuncerà all'efficienza offerta dai media elettrici - da internet insomma - per il "feticcio" del lavoro in azienda? Fino a quando si vorrà mantenere in piedi un tipo di produzione che in molte aziende ormai è diventato un mero e costoso rituale? E per quanto tempo la nostra legislazione del lavoro e del diritto societario resteranno principalmente fordiste?

La risposta a quest'ultima domanda è più semplice: la modifica in senso radicalmente neoliberista della legislazione del lavoro italiana negli ultimi 20 anni ad esempio è sotto gli occhi di tutti, e testimonia proprio il tentativo di andare incontro alle esigenze di un paradigma produttivo post-fordista dove - ad esempio - non esistono più distinzioni tra lavoro e tempo libero e tutti sono "autonomi": cioè in balia degli eventi sociali, e controllori inflessibili dei propri tempi di produzione.

Notare che quella in vigore in Italia e in altre nazioni europee era la versione "2.0" della legislazione del lavoro fordista: quella che prevedeva garanzie per la forza lavoro. La versione beta, ricordiamolo, era quella in vigore all'inizio del secolo scorso e prevedeva il lavoro dei bambini in miniera per 12 ore (e in gran parte del globo lo prevede ancora). Oggi siamo nell'epoca della versione beta della legislazione post-fordista, e chi ha orecchie intenda...

Per quanto concerne la sopravvivenza del "feticcio" della struttura aziendale, anche qui giova un esempio vissuto. Ancora due anni fa, sia il responsabile commerciale, sia il respondabile amministrativo della mia azienda erano concordi sul voler privilegiare l'intervento diretto e fisico presso il cliente anziché l'uso dei programmi di remotizzazione: il famoso "lato umano".

A distanza di due anni l'azienda ha aumentato l'utile pur essendo diminuito il numero di addetti. Perché con la remotizzazione si è potuto ridurre i tempi di risoluzione di ogni richiesta di assistenza, e si è potuto aumentare il numero clienti serviti senza aumentare le ore-uomo.

Non più quelle mezz'ore da incubo al telefono con la signora Marisa per spiegarle dove si trovava il tasto "start" di WinXP e che cosa si intendesse per "doppio click", ma un banale intervento da remoto sul suo computer e problema risolto in 3 minuti.

Così in due anni l'efficienza della singola ora di lavoro è aumentata vertiginosamente, e oggi tutti in ditta sono convinti che il "lato umano" si può anche avere telefonando ogni tanto alla signora Marisa per chiederle come sta il suo gatto Oreste...

L) Un tentativo di conclusione:

a) L'uso di internet, accompagnato a una diffusione di schemi produttivi post-fordisti in sempre più settori, consente di fare a meno di una struttura aziendale presente sul territorio in tutte quelle mansioni che lo consentono. Ciò rende economicamente più efficiente la disintegrazione spaziale dell'azienda negli "atomi" umani che la compongono. Lo stesso concetto di "azienda" sembrerebbe destinato a dover essere rivisto.

b) Un'implicazione umana, di interesse sia antropologico che sociale, è la fine della distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero. Va notato comunque che il concetto di "tempo libero" è piuttosto recente, ed è strettamente collegato alla presenza di un "tempo in catene": per i membri di una tribù di aborigeni il concetto di "tempo libero" non ha alcun significato. Il tempo libero cioè ha senso solo in presenza di una produzione fordista.

c) Volendo estendere "b" in un modo più rigoroso e generale, il "nodo" della rete non è solo l'Abolrish lavoratore ma *anche* l'Abolrish che socializza e che scrive dell'Iran. Le due figure si sovrappongono completamente e si influenzano a vicenda. In altre parole Abolrish produce se stesso. Qualcun altro preferisce esprimerla come un totale sovrapporsi della sfera pubblica e privata. Ma su questo leggetevi dei libri che è meglio.

Ora, posto che le qualità del nodo "Abolrish", presente della rete globale, provengono dalla sua istruzione, carattere, interessi, e cioè alla fin fine del suo essere se stesso, resta un problema: ha senso ritenerlo un salariato nel senso marxista del termine? Direi di no, perché il mezzo di produzione di Abolrish (cioè il suo se stesso) è da lui inseparabile.

Sembrerebbe, per questi lavoratori, risolversi uno dei problemi che tormentava il Marx dei Manoscritti economico-filosofici: viene a mancare l'alienazione del lavoratore, vista come sofferta separazione tra questi e il frutto del proprio lavoro.

d) Un'altra implicazione interessante, di cui mi riserverò di parlare eventualmente dopo aver letto "la città nella storia" di Mumford: così come diventa superflua l'azienda, il concetto stesso di città potrebbe essere destinato a cambiare natura o quanto meno portata storica.

Dieci milioni di persone non vivono insieme perché sono tanto affettuose, ma per recarsi al lavoro. Se non mi devo recare al lavoro me ne vado a vivere sulle Dolomiti, lontano dalle masse.

Il resto al vostro buon cuore, sempre che la logorrea vi abbia lasciato delle forze.

Nessun commento:

Posta un commento