giovedì 1 luglio 2010

La sberla di Dio non fa rumore - 2


Traduco un'analisi della pagina FB "rivoluzione verde" che completa il ragionamento iniziato l'altro ieri: ciò che accomuna le diverse anime dell'opposizione iraniana, e che le contrappone frontalmente al regime, è l'accordo sui principi liberali. I principi liberali saranno poco sexy, ma in Iran rappresentano un inedito di livello epocale.

Gli eventi ai quali si riferisce l'analisi sono tutti accaduti nel mese di giugno: l'aggressione verbale al nipote dell'Ayatollah Khomeini da parte di una squadra di contestatori filo-governativi, che non ha consentito al giovane religioso di finire il suo discorso. L'aggressione si è consumata nel cortile della casa della famiglia Khomeini a Teheran, aperta al pubblico in occasione della commemorazione della morte del leader.

Nei giorni successivi si alzò un unanime coro di proteste da parte dei più influenti religiosi di Qom (compresa una lettera di solidarietà da parte dell'Ayatollah Sistani dall'Iraq), al quale seguì la rappresaglia degli squadristi di Ahmadinejad contro le case degli ayatollah Sanei e Zanjani a Qom.

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Gli attacchi organizzati degli elementi filo governativi contro le case e gli uffici dei "Marjà" nella città di Qom possono essere definiti un attacco preventivo. L'atmosfera di Qom e delle scuole teologiche si era fatta molto pesante dopo l'attacco subito da Seyyed Hossein Khomeini, fatto che gli aveva impedito di portare a termine il discorso commemorativo, e c'era il forte rischio di una reazione a catena come quella avuta in occasione dell'articolo di Rashidi Motlagh [1].

Questi attacchi hanno dimostrato che il regime è disposto a qualunque violazione dell'etica pur di non perdere il controllo della propria retroguardia ideologica (cioè la città di Qom e le scuole di teologia). Ma quali sono le conseguenze per il movimento?

Una situazione "perdita-perdita"

In superficie il regime ha dimostrato di poter tenere sotto controllo i moti di protesta nella capitale dello sciismo. Dopo l'isolenza di cui è stato oggetto il nipote dell'Emam Khomeini, in presenza di Khamenei, era plausibile aspettarsi forti proteste a Qom. Il regime è intervenuto seguendo il consiglio di Machiavelli che suggerisce di rimandare solo le battaglie che vedono favorito l'avversario.

Ma affrontare la situazione in questo modo, intimidendo l'alto clero sciita, finisce per distruggere proprio le colonne ideologiche alle quali il regime cerca di far reggere la propria legittimazione. Il cioè in questo modo perde ulteriormente legittimità religiosa e diventa maggiormente bisognoso di baionette.

Non sono i nemici dell'islam e dei musulmani a violare le abitazioni del clero, ma le stesse forze del governo. Il fatto è importante perché, perdendo la sua sorgente ideologica, il regime diventa più vulnerabile sul piano dialettico, mentre maggiore diventa la forza di attrazione del movimento di opposizione verso gli strati sociali più religiosi. E questo per il regime è autolesionistico.

Denunciare soprusi al clero, oppure proteggerlo?

Uno dei punti deboli più critici del regime è la confusione tra il secolarismo e l'anti-religiosità. E' chiaro che un individuo può essere secolarista pur rimanendo fortemente religioso nella sua vita intima, ma la cricca al potere identifica il secolarismo con l'odio per la religione, per il clero e per i singoli fedeli. Per questo il regime è convinto che i secolaristi provano piacere ogni volta che dei religiosi vengono umiliati, derisi, e ostracizzati.

Dopo i recenti avvenimenti alcuni intellettuali e attivisti si sono prodigati a scrivere petizioni e lettere di protesta all'indirizzo dei "marjà" sciiti, chiedendo loro di prendere posizione contro le decisioni oppressive del potere. La verità è che costoro si trovano in una posizione debole e non sono nemmeno più in grado di proteggere le loro stesse abitazioni. In altre parole il clero e le scuole teologiche, come tutte le altre istituzioni sociali e civili, si sentono sull'orlo del baratro e hanno bisogno più che mai di solidarietà e protezione.

Inoltre, nonostante le recenti umiliazioni e minacce da parte del regime, il clero teme ancora fortemente il fallimento dell'esperiernza del "velayat-e faqih". La propaganda del regime martella i religiosi con visioni di distruzione e genocidio nel caso di una vittoria del movimento verde, minacciando il ritorno dei tempi di Reza Khan quando le donne col velo erano costrette a chiudersi in casa.

In questa situazione si rende necessario che personalità laiche vicine all'opposizione condannino gli attacchi recenti, e che dichiarino la propria solidarietà. La difesa dei diritti fondamentali dei sacerdoti - ancorché non un loro diritto particolare a governare - può mitigare la reciproca diffidenza e rafforzare l'opposizione al regime.

Un unico movimento, dalle case di Qom alle torri di Elahieh

Tenendo conto di quanto detto, gli eventi del 4 giugno e successivi rappresentano un'occasione eccezionale per il movimento. Un'occasione che il governo, messo alle strette dalle sue debolezze, è stato costretto a regalarci violando le abitazioni di due importanti religiosi. Non si deve passare accanto a quanto accaduto restando in silenzio.

Negli anni passati abbiamo assistito innumerevoli volte alla violazione delle abitazioni di privati cittadini da parte delle forze pubbliche le quali, con la scusa della lotta contro la decadenza morale, buttavano all'aria feste private e matrimoni. Questi attacchi erano particolarmente diretti contro i quartieri benestanti, quelli più distanti dall'ideologia dominante.

Inoltre perquisizioni e i posti di blocco stradali si concentravano quasi sempre contro lo stile di vita della classe media. Non succedeva mai che venisse perquisita l'auto di un giovane con abito da sacerdote, o che gli venisse chiesto davanti a moglie e figli di far sentire l'alito per verificare se aveva bevuto.

Questa discriminazione è durata anni. Il clero, che un tempo aveva potere e godeva del rispetto del regime, non ha mai ritenuto necessario dire che - se è lecito perquisire le auto dei giovani - allora dovete perquisire anche la mia. Al contrario si disinteressava della cosa e la accettava come necessità nella lotto contro la "moralità corrotta" dei giovani.

Tra le crepe di questo reciproco disinteresse ha messo le radici la pianta velenosa di un regime repressivo e ideologico. Una pianta che oggi è così cresciuta da non ritenere più necessario nascondersi dietro alla religione, e che ormai si comporta allo stesso modo quando viola l'abitazione di un religioso o una dove si sta svolgendo un party.

A prescindere dalla reazione dell'opposizione, il fatto di scontentare ed essere diffidente verso tutti gli strati sociali è segno della debolezza del regime: esso teme allo stesso modo il foulard di una ragazza poco coperta e il turbante di un mullah. Il regime è solo, delegittimato e isolato, poiché sa che in Iran nessuna forza può sopravvivere resistendo allo stesso tempo contro le forze secolariste e contro i religiosi.

(...)

Infine

Il silenzio del passato davanti alle perquisizioni che violavano la vita privata dei cittadini ha portato con sé, oggi, un nuovo tipo di repressione: la pattuglia contro il clero di Qom. L'obiettivo di questi pattugliamenti è simile a quello delle pattuglie di "buon costume" a Teheran: colpire alcuni per intimorire molti. Si scelgono alcuni religiosi e li si sottopone ai trattamenti più umilianti per zittire tutti gli altri.

E' improbabile che un nostro silenzio di fronte alle violazioni dei diritti di privati cittadini, oggi, porti con sé qualcosa di positivo. La maggior parte degli iraniani sono ormai convinti che non si devono più mettere in relazione le convinzioni ideologiche di un cittadino con l'inviolabilità o meno dei suoi diritti civili.

Certo ci può essere ancora qualcuno che tenda a giustificare il suo silenzio come forma di secolarismo. Si può pensare che in fondo questa gente se lo merita perché negli anni '80 ha fatto questo e quell'altro e che le sberle di Dio non fanno rumore. Ma il silenzio di fronte alla violazione dei diritti fondamentali di uno strato sociale porta con sé un'amara conseguenza: il consolidamento delle forse della Sepah e dei Basij nel ruolo di "mano di Dio" o della natura.

[1] Si tratta di un articolo apparso nel 1978 sul giornale "Ettelaat" in cui l'Ayatollah Khomeini veniva insultato. La reazione popolare a questo articolo è considerata essere l'inizio della rivoluzione islamica. N.d.t.

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