lunedì 14 febbraio 2011

Felice come l'uomo del banco dei pegni


Qualcuno si chiede perché bloggo meno. Io invece mi chiedo spesso cosa farei se vivessi lì. Se avessi dei figli - alla mia età in Iran spesso si hanno dei figli grandicelli - li farei uscire di casa per andare in corteo, o li incatenerei nello sgabuzzino? Io stesso andrei al corteo? Lascerei la busta con dentro il testamento sulla scrivania prima di uscire, come fanno molti di quei ragazzi?

In fondo il movimento ha mostrato che nonostante la durissima repressione è vivo e vegeto. Il terrore del regime è direttamente proporzionale alla scompostezza della sua reazione ogni volta che la coerenza delle sue bugie viene a galla. E comunque un morto solo lo avrei sottoscritto ieri sera.

Ma io sono qua e la mia generazione è sparita. Anagraficamente in Iran non ci sono maschi classe 1965: morti durante la rivoluzione, morti durante i primi anni del khomeinismo perché stavano nella corrente rivoluzionaria sbagliata, morti in guerra, morti dopo la guerra per le conseguenze dell'iprite tedesco usato da Saddam, mutilati, oppure fuggiti all'estero. Io sono di quelli fuggiti all'estero. Loro sono lì e rischiano, io sono qui e la racconto, è la storia della mia vita. Dovrei sentirmi bene: sono al sicuro, non rischio niente e ho la consolazione di stare dalla parte giusta.

Si dice che l'incidenza dei suicidi fosse alta tra i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Come "l'uomo del banco dei pegni", o come Primo Levi, per fare giusto due esempi. Deve aver a che fare coi disturbi da depressione post traumatica. Non sono mai stato il tipo da piangistei, e sono parecchio lontano dalla pur minima tendenza al suicidio e alla depressione. Ma non sto affatto bene quando racconto cosa succede lì. Anzi a dirla tutta mi sento uno schifo.

4 commenti:

  1. E io non so che dirti, se non che penso che ciò che tu fai è utile e prezioso. E non è colpa tua se sei stato costretto a fuggirtene, non è colpa tua. Essere morti allora non avrebbe fatto nessuna differenza, mentre raccontare e testimoniare potrebbe farla.

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  2. Non pensavo tanto a quello, quanto al fatto che questo blog esiste perché altri rischiano la pelle. So che non è colpa mia ma è un fatto oggettivo. E poi per commentare notizie bisogna che notizie ce ne siano.

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  3. Poi ci sono altre cose. Un iraniano che vive all'estero la sua adolescenza "costa" ai suoi genitori più dei suoi fratelli che vivono in Iran. Questo è oggettivamente ingiusto, e in qualche modo un seccante senso di colpa ti perseguita anche se non vuoi. Oppure quando pensi "ma io lo farei per mio figlio?" e senti che la risposta è molto incerta.

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  4. Ho capito, la fastidiosa sensazione di essere un privilegiato senza averlo mai voluto essere. E' semplicemente umano :)

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