Mi è stata posta una questione nel post precedente che merita una risposta, perché complessa. Ovvero: per quale motivo la stampa occidentale ha minimizzato la portata delle dimostrazioni di venerdì.
Va detto che personalmente non ho avuto quell'impressione, vuoi perché recentemente approfondisco la questione iraniana direttamente dalle fonti locali, vuoi perché sono abituato a ben più alti livelli di disinteresse e cialtroneria nei media italiani.
In fondo, mi sono detto, le notizie principali si sono avute. Diverse testate inglesi e americane hanno utilizzato i filmati di youtube nei loro servizi. Persino l'interruzione del discorso televisivo di Ahmadinejad è stata riportata su Televideo. Infine mi son detto che, allo stato attuale, l'interesse occidentale per il movimento è un di più, non una condizione necessaria.
Per dire: nella sua "omelia" di fine Ramadan, ieri, Khamenei ha dichiarato che non è più possibile ritenere giuridicamente probanti le accuse a una persona, sulla base delle sole confessioni di un'altra persona! Questa è una bomba che fa crollare l'intero castello accusatorio basato sulle confessioni ottenute sotto tortura.
Una bomba che mette sotto questione l'operato della radio-televisione iraniana (RTI) diventata - dopo il 12 giugno - oltre che una specie di caserma di Pasdaran, il principale centro ideologico del golpe.
Ed è stato Khamenei in persona a far esplodere la bomba: oggi il giudice supremo dell'equivalente del TAR iraniano, riferendosi proprio al discorso di Khamenei, ha accusato la RTI di comportamento illegale per aver trasmesso le confessioni degli accusati. E nei prossimi giorni è in programma la riunione dell'Assemblea degli Esperti.
Per non parlare del fatto che venerdì, stranamente, la polizia antisommossa era gentile o quanto meno disinteressata. Gli scontri principali si sono accesi tra i cosiddetti "plaincloth" - attivisti hezbollah senza uniforme - e i manifestanti. I primi hanno avuto la peggio in diversi frangenti mentre la polizia guardava altrove, o interveniva proprio per evitare il peggio.
Aggiungiamo l'interessante concomitanza del ritiro dello scudo antimissile americano e la ferma condanna del negazionismo di Ahmadinejad da parte del Cremlino, e abbiamo un'idea abbastanza chiara di quanto il regime sia oggi sulla difensiva.
Perché Khamenei ha fatto quel discorso? Perché persino Ahmad Khatami (ultraconservatore da non confondere con l'ex presidente) imam del venerdì di Teheran, mi diventa un moderato? Perché di colpo la polizia diventa neutrale? Lo vedremo più avanti.
Ma intanto in tutto questo l'interesse dei media occidentali ha avuto un'importanza davvero secondaria. Ovviamente non voglio eludere la domanda: la stampa occidentale che si occupa dell'Iran è stata e continua ad essere cialtrona e questo va spiegato. Va inoltre definito cosa intendiamo quando parliamo di "maggioranza" in un paese come l'Iran o, più in generale, in una società.
Schumpeter e la stampa
Facendola breve costui scrisse le sue opere principali parlando della trasformazione dell'imprenditore in burocrate. Ecco, io credo che una delle principali ragioni dello stato dell'informazione oggi risieda in questa trasformazione.
Il "produttore" dell'informazione, sia che con ciò intendiamo il giornalista, sia che intendiamo il tycoon, non ama il rischio dell'innovazione. Preferisce il guadagno piccolo ma immediato e sicuro, il "giro breve". Nemmeno il giornalista ama il rischio, e spesso nemmeno l'impegno di investigare. Molto meglio scrivere commenti, opinioni, notizie di seconda mano. Insomma fare ciò che faccio io, con la differenza che io perlomeno non sono pagato e so il persiano!
Il giornalismo d'inchiesta è merce sempre più rara, ed è ancor più raro il suo "sottogruppo", il giornalismo di guerra. Per tutto il conflitto iracheno sentivo giornalisti "sul campo" che scrivevano dal cocktail-bar dell'hotel Palestine di Baghdad, quando non direttamente da Amman! Tanto valeva starsene a Roma o a New York che costavano meno.
L'industria delle news, in questo modo, diventa un semplice megafono delle dichiarazioni ufficiali. Di qualunque dichiarazione ufficiale, persino quelle del governo iraniano. Perché non fidarsi significa approfondire, approfondire significa investigare, e investigare significa - apriti cielo - lavorare. E spesso il lavoro di un giornalista è rischioso e costoso, perciò chi glielo fa fare all'editore, anche quando si trova il giornalista coscienzioso? Si scrivono due fregnacce e si vende lo stesso.
Direi che c'è anche un secondo punto.
Una parte non indifferente delle testate italiane si occupa dell'Iran e delle violazioni dei diritti dell'uomo con un preciso fine: quello di dimostrare al lettore che far aprire un kebab nel centro è estremamente pericoloso e inopportuno, figuriamoci far costruire una moschea.
Così molte testate sono interessate agli eventi iraniani solo in questa chiave di lettura: avere un motivo per odiare l'Islam e tutti i musulmani. E' ovvio che l'affidabilità dell'informazione specifica sull'Iran diventa risibile. Persino una corretta comprensione della realtà va a puttane. Tipo: hanno sparato sulla folla venerdì? no? Allora non c'è notizia! Oppure: ma se quelli gridano "Allah Akbar" sui tetti, come fanno a essere i buoni? Insomma contro chi dobbiamo scrivere?
Questa parte dell'informazione italiana non è secondaria. Forse è "maggioritaria", magari non nei numeri, ma certamente nel senso che spiegherò tra breve.
Numeri e compattezza
La posizione ufficiale del governo iraniano è che venerdì pochi facinorosi cantavano slogan fuori tema e sono stati isolati e puniti dalla folla. La posizione della maggioranza dei manifestanti è che sostanzialmente i filogovernativi erano asserragliati nell'università, circondati da una marea verde. Io sono convinto che la verità sta da qualche parte in mezzo.
Ma il punto non è questo. Non è mai stato questo, nemmeno durante e dopo le elezioni. I numeri sono importanti nelle liturgie elettorali di una democrazia stabile e collaudata, non quando ci sono "masse sociali" a confronto. Quando i verdi iraniani cantano "bugiardo" bugiardo! dov'è il tuo 62 percento?" possono anche essere una minoranza, ma dall'altra parte non risponde nessuno. La controparte sta zitta. Certo c'è una dura repressione poliziesca, ma non c'è una folla decisa e determinata a difendere il governo. E' questo il punto.
Oltretutto bisogna anche tener conto della "tara" della repressione. Ci sono sondaggi di buontemponi che dicono di aver fatto 1000 telefonate a Teheran e che Ahmadinejad avrebbe la maggioranza dei consensi. Vi dico una cosa: vivessi in Iran e squillasse il telefono a chiedermi se approvo l'operato di Ahmadinejad, IO direi di sì! Che ne so chi c'è dall'altra parte? Non voglio certo rischiare di finire nel braccio 209 di Evin a confessare che sono l'amante segreto di Golda Meyr. Mi meraviglia che non abbiano risposto sì all'unanimità! Solo un completo idiota farebbe un sondaggio del genere.
Quindi, tornando a noi, tirando le somme, e disinteressandoci dei numeri e delle percentuali, da una parte abbiamo una folla enorme, decisa, compatta. Dall'altra abbiamo forse persino una maggioranza, ma di indecisi, di gente disunita, piena di dubbi. Di gente che deve decidere da quale parte è più salutare stare, e che sta mano a mano scoprendo che è socialmente meglio stare in mezzo ai verdi.
Data la situazione, il governo diventa ondivago. Oscilla tra risposte estreme e tentativi di moderazione. Ai primi, il movimento risponde con odio e compattezza. Mentre interpreta i secondi come segni di debolezza e dimostrazioni che tenere duro paga.
La "compattezza" di una parte politica è la vera chiave di lettura di ciò che intendiamo per "maggioranza", quando usciamo dalle alchimie elettorali delle isole felici come quella in cui viviamo. Una "maggioranza" di questo tipo determina lo Zeitgeist - lo spirito del tempo - o, per usare un termine militare, ha in mano l'iniziativa.
Ma anche nei regimi democratici consolidati il controllo dello "Zeitgeist" risulta essere determinante. Così, ad esempio, sul tema dell'immigrazione in Italia si è costretti ad aver a che fare con un'atmosfera xenofoba nel suo complesso. A causa della quale diventa obbligatorio avere come interlocutori politici quei partiti e quei giornali che se ne fanno portavoce.
Ma tutto questo accade prima del voto: lo spirito dei tempi si manifesta nelle strade, nei bar, negli uffici. E solo dopo, semmai, nelle urne.
Va detto che personalmente non ho avuto quell'impressione, vuoi perché recentemente approfondisco la questione iraniana direttamente dalle fonti locali, vuoi perché sono abituato a ben più alti livelli di disinteresse e cialtroneria nei media italiani.
In fondo, mi sono detto, le notizie principali si sono avute. Diverse testate inglesi e americane hanno utilizzato i filmati di youtube nei loro servizi. Persino l'interruzione del discorso televisivo di Ahmadinejad è stata riportata su Televideo. Infine mi son detto che, allo stato attuale, l'interesse occidentale per il movimento è un di più, non una condizione necessaria.
Per dire: nella sua "omelia" di fine Ramadan, ieri, Khamenei ha dichiarato che non è più possibile ritenere giuridicamente probanti le accuse a una persona, sulla base delle sole confessioni di un'altra persona! Questa è una bomba che fa crollare l'intero castello accusatorio basato sulle confessioni ottenute sotto tortura.
Una bomba che mette sotto questione l'operato della radio-televisione iraniana (RTI) diventata - dopo il 12 giugno - oltre che una specie di caserma di Pasdaran, il principale centro ideologico del golpe.
Ed è stato Khamenei in persona a far esplodere la bomba: oggi il giudice supremo dell'equivalente del TAR iraniano, riferendosi proprio al discorso di Khamenei, ha accusato la RTI di comportamento illegale per aver trasmesso le confessioni degli accusati. E nei prossimi giorni è in programma la riunione dell'Assemblea degli Esperti.
Per non parlare del fatto che venerdì, stranamente, la polizia antisommossa era gentile o quanto meno disinteressata. Gli scontri principali si sono accesi tra i cosiddetti "plaincloth" - attivisti hezbollah senza uniforme - e i manifestanti. I primi hanno avuto la peggio in diversi frangenti mentre la polizia guardava altrove, o interveniva proprio per evitare il peggio.
Aggiungiamo l'interessante concomitanza del ritiro dello scudo antimissile americano e la ferma condanna del negazionismo di Ahmadinejad da parte del Cremlino, e abbiamo un'idea abbastanza chiara di quanto il regime sia oggi sulla difensiva.
Perché Khamenei ha fatto quel discorso? Perché persino Ahmad Khatami (ultraconservatore da non confondere con l'ex presidente) imam del venerdì di Teheran, mi diventa un moderato? Perché di colpo la polizia diventa neutrale? Lo vedremo più avanti.
Ma intanto in tutto questo l'interesse dei media occidentali ha avuto un'importanza davvero secondaria. Ovviamente non voglio eludere la domanda: la stampa occidentale che si occupa dell'Iran è stata e continua ad essere cialtrona e questo va spiegato. Va inoltre definito cosa intendiamo quando parliamo di "maggioranza" in un paese come l'Iran o, più in generale, in una società.
Schumpeter e la stampa
Facendola breve costui scrisse le sue opere principali parlando della trasformazione dell'imprenditore in burocrate. Ecco, io credo che una delle principali ragioni dello stato dell'informazione oggi risieda in questa trasformazione.
Il "produttore" dell'informazione, sia che con ciò intendiamo il giornalista, sia che intendiamo il tycoon, non ama il rischio dell'innovazione. Preferisce il guadagno piccolo ma immediato e sicuro, il "giro breve". Nemmeno il giornalista ama il rischio, e spesso nemmeno l'impegno di investigare. Molto meglio scrivere commenti, opinioni, notizie di seconda mano. Insomma fare ciò che faccio io, con la differenza che io perlomeno non sono pagato e so il persiano!
Il giornalismo d'inchiesta è merce sempre più rara, ed è ancor più raro il suo "sottogruppo", il giornalismo di guerra. Per tutto il conflitto iracheno sentivo giornalisti "sul campo" che scrivevano dal cocktail-bar dell'hotel Palestine di Baghdad, quando non direttamente da Amman! Tanto valeva starsene a Roma o a New York che costavano meno.
L'industria delle news, in questo modo, diventa un semplice megafono delle dichiarazioni ufficiali. Di qualunque dichiarazione ufficiale, persino quelle del governo iraniano. Perché non fidarsi significa approfondire, approfondire significa investigare, e investigare significa - apriti cielo - lavorare. E spesso il lavoro di un giornalista è rischioso e costoso, perciò chi glielo fa fare all'editore, anche quando si trova il giornalista coscienzioso? Si scrivono due fregnacce e si vende lo stesso.
Direi che c'è anche un secondo punto.
Una parte non indifferente delle testate italiane si occupa dell'Iran e delle violazioni dei diritti dell'uomo con un preciso fine: quello di dimostrare al lettore che far aprire un kebab nel centro è estremamente pericoloso e inopportuno, figuriamoci far costruire una moschea.
Così molte testate sono interessate agli eventi iraniani solo in questa chiave di lettura: avere un motivo per odiare l'Islam e tutti i musulmani. E' ovvio che l'affidabilità dell'informazione specifica sull'Iran diventa risibile. Persino una corretta comprensione della realtà va a puttane. Tipo: hanno sparato sulla folla venerdì? no? Allora non c'è notizia! Oppure: ma se quelli gridano "Allah Akbar" sui tetti, come fanno a essere i buoni? Insomma contro chi dobbiamo scrivere?
Questa parte dell'informazione italiana non è secondaria. Forse è "maggioritaria", magari non nei numeri, ma certamente nel senso che spiegherò tra breve.
Numeri e compattezza
La posizione ufficiale del governo iraniano è che venerdì pochi facinorosi cantavano slogan fuori tema e sono stati isolati e puniti dalla folla. La posizione della maggioranza dei manifestanti è che sostanzialmente i filogovernativi erano asserragliati nell'università, circondati da una marea verde. Io sono convinto che la verità sta da qualche parte in mezzo.
Ma il punto non è questo. Non è mai stato questo, nemmeno durante e dopo le elezioni. I numeri sono importanti nelle liturgie elettorali di una democrazia stabile e collaudata, non quando ci sono "masse sociali" a confronto. Quando i verdi iraniani cantano "bugiardo" bugiardo! dov'è il tuo 62 percento?" possono anche essere una minoranza, ma dall'altra parte non risponde nessuno. La controparte sta zitta. Certo c'è una dura repressione poliziesca, ma non c'è una folla decisa e determinata a difendere il governo. E' questo il punto.
Oltretutto bisogna anche tener conto della "tara" della repressione. Ci sono sondaggi di buontemponi che dicono di aver fatto 1000 telefonate a Teheran e che Ahmadinejad avrebbe la maggioranza dei consensi. Vi dico una cosa: vivessi in Iran e squillasse il telefono a chiedermi se approvo l'operato di Ahmadinejad, IO direi di sì! Che ne so chi c'è dall'altra parte? Non voglio certo rischiare di finire nel braccio 209 di Evin a confessare che sono l'amante segreto di Golda Meyr. Mi meraviglia che non abbiano risposto sì all'unanimità! Solo un completo idiota farebbe un sondaggio del genere.
Quindi, tornando a noi, tirando le somme, e disinteressandoci dei numeri e delle percentuali, da una parte abbiamo una folla enorme, decisa, compatta. Dall'altra abbiamo forse persino una maggioranza, ma di indecisi, di gente disunita, piena di dubbi. Di gente che deve decidere da quale parte è più salutare stare, e che sta mano a mano scoprendo che è socialmente meglio stare in mezzo ai verdi.
Data la situazione, il governo diventa ondivago. Oscilla tra risposte estreme e tentativi di moderazione. Ai primi, il movimento risponde con odio e compattezza. Mentre interpreta i secondi come segni di debolezza e dimostrazioni che tenere duro paga.
La "compattezza" di una parte politica è la vera chiave di lettura di ciò che intendiamo per "maggioranza", quando usciamo dalle alchimie elettorali delle isole felici come quella in cui viviamo. Una "maggioranza" di questo tipo determina lo Zeitgeist - lo spirito del tempo - o, per usare un termine militare, ha in mano l'iniziativa.
Ma anche nei regimi democratici consolidati il controllo dello "Zeitgeist" risulta essere determinante. Così, ad esempio, sul tema dell'immigrazione in Italia si è costretti ad aver a che fare con un'atmosfera xenofoba nel suo complesso. A causa della quale diventa obbligatorio avere come interlocutori politici quei partiti e quei giornali che se ne fanno portavoce.
Ma tutto questo accade prima del voto: lo spirito dei tempi si manifesta nelle strade, nei bar, negli uffici. E solo dopo, semmai, nelle urne.